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“Da oggi sono io”. La voce di un professore transessuale

In una scuola veneta, Luca è Cloe. L'assessore all'istruzione Donazzan si dice indignata così come alcuni genitori. Ma non mancano i sostenitori. Di G

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In una scuola veneta, Luca è Cloe. L’assessore all’istruzione Donazzan si dice indignata così come alcuni genitori. Ma non mancano i sostenitori.

Di Giulia Pezzullo

Ogni singolo individuo combatte la propria battaglia e il resto del mondo, dal basso di un’ignoranza che risiede nel non rispetto, si impegna al massimo per sminuire l’esplosione di malessere del singolo per uniformarlo al dolore comune.

È il caso di un professore veneto che, un giorno di novembre, è entrato per l’ennesima volta nella sua aula esordendo con “Ragazzi, io mi chiamo Cloe”.
Luca Bianco insegna fisica all’istituto agrario Scarpa-Mattei di San Donato del Piave. Ha cinquantuno anni e come tanti colleghi era un precario. Sì, “era” perché dal 27 novembre 2015 è finalmente passato di ruolo, conquistando la tanto agognata cattedra. L’unica differenza? Niente giacca e cravatta ma abiti da donna e rossetto. Luca è Cloe. E lo è da sempre, un sogno dall’età di 5 anni. Infatti, la professoressa non ha mai nascosto più di tanto la sua natura in quanto spesso era stata vista per strada o in foto sui social con abiti poco maschili e atteggiamenti che poco si accostano a quelli di un uomo. La scelta di uscire solo ora allo scoperto risiede nel fatto di essere passato di ruolo. Ebbene, la reazione del grande pubblico della battaglia di Cloe non è tardata ad arrivare ed è stata eclatante, spettacolare e tendente all’ignoranza cieca di chi non si domanda nemmeno per un attimo quanto coraggio e determinazione servono per affrontare la loro fossa di serpenti.

Il papà di un ragazzo di prima dell’istituto Scarpa-Mattei ha inviato immediatamente una email all’assessore regionale dell’istruzione del Veneto, Elena Donazzan, esponendo quanto accaduto quel 27 novembre nella classe del figlio e sottolineando il suo sdegno per la mancanza di provvedimenti disciplinari nei confronti della professoressa Bianco. A suon di “come si è ridotta la scuola?” e “una ragazza si è sentita male”, questo signore si è purtroppo uniformato ad un pensiero di massa che sarebbe assolutamente rispettabile se solo non fosse offensivo e discriminatorio verso una persona che chiede lo stesso rispetto che senza dubbio riceve il papà arrabbiato della mail. L’assessore Donazzan dichiara: “Quando uno va ad insegnare in una scuola statale e si presenta a dei minorenni in questo modo, di fatto tutto diventa pubblico e sono d’obbligo chiarimenti prima e indagini ed eventuali sanzioni poi: sarò inflessibile”.

Eccolo il vero problema: il ‘pubblico’, quel plurale di individui che si fa carico spesso e volentieri di fardello invisibili. Ciò che apre inevitabilmente il dibattito tra le parti fondamentalmente non è essere pro o contro i diritti LGTBQI bensì dimostrare una cecità di giudizio e una facilità di lapidazione di quelle persone che si fanno coraggio per non sopperire al dolore di essere chi non sono. Non è forse anche il comportamento di chi parla senza beneficio del dubbio un estremismo? A questo proposito, una mamma di una ragazza della classe in cui insegna Cloe Bianco ha affermato: “Ho spiegato a mia figlia che il coraggio della sua professoressa e dello stesso preside dovrebbero averlo in molti. Non capisco quale atto abbia fatto sconvolgere così tanto quel genitore: suo figlio ora apprenderà qualcosa di più dalla scuola, ovvero che siamo persone e non etichette”. Infatti il preside dell’istituto del Piave si è schierato dalla parte di Cloe Bianco, asserendo che in veste di insegnante va considerata tale e rispettata. Nonostante questo, il Ministero della Pubblica Istruzione sospese per tre giorni la professoressa dall’insegnamento. La docente di fisica, in questo momento, si è chiusa in un “no comment” che è sfociato in un ricorso del suo avvocato Marco Vorano tramite il quale chiede al Tribunale del Lavoro un risarcimento di 10mila euro e la revoca dell’ingiusta sospensione.

Come si può pensare di essere un paese sviluppato se fa più scalpore la vita di una persona piuttosto che la dispersione scolastica? Come ci si può ritenere un Paese membro della leadership internazionale se il problema della scuola non sono i fondi statali dispersi, i professori precari, la mancanza di strutture efficienti e la didattica antiquata ma l’identità di genere di un individuo? Davvero, non saprei.

Di Giulia Pezzullo

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