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Integrazione: non esistono razze tra ragazzi

Integrazione: non esistono razze tra ragazzi

La multicultura tra i banchi di scuola può essere una potente arma per rendere possibile la convivenza di ogni forma di 'diversità'. Di Giulia Pezzull

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La multicultura tra i banchi di scuola può essere una potente arma per rendere possibile la convivenza di ogni forma di ‘diversità’.

Di Giulia Pezzullo

Come approcciarsi al tema dell’integrazione tra razze? In un mondo che guarda sempre di più al mix di religioni e culture, su quale linea vi disponete? Sappiamo bene che esistono persone favorevoli e persone contrarie alla mescita razziale; a livello politico, poi, neanche a parlarne: piede di guerra per due fazioni opposte sul grande tema dell’immigrazione e dell’integrazione degli adulti nel mondo del lavoro e dei bambini nelle scuole. Abbiamo sentito tutti parlare di “togliamo i crocifissi dalle aule”, “bimbi e bimbe non dovrebbero fare ginnastica insieme” e “inseriamo le festività delle altre culture nel nostro calendario”. C’è diffidenza, c’è paura e c’è astio nei confronti di quello che è palesemente il ‘diverso’ da noi: che sia musulmano o che sia africano il fatto che una persona possa avere tradizioni e colore della pelle diverse dalle nostre crea automaticamente un virus da debellare.

Perché allora non pensare che un bimbo inserito in un ambiente multiculturale sviluppi un’ampia considerazione delle diversità? Effettivamente, è proprio così: crescere osservando tutte le culture, tutte le religioni e tutti i colori della pelle porta a pensare che l’essere in un modo piuttosto che in un altro è frutto di qualche processo che risulta del tutto naturale agli occhi dei piccoli.

Molte scuole italiane, oggi, per far fronte al grande tema dell’integrazione razziale hanno aggiunto ai propri programmi scolastici dei momenti di conoscenza di altri modi di vivere e di altre culture. Ad esempio, un’istituto comprensivo di Molinella, in provincia di Bologna, ha avuto l’idea di portare 80 alunni di quinta elementare in visita alla moschea di Ravenna che è la più grande del Nord d’Italia. Questa gita scolastica era inserita in un progetto più ampio che prevedeva la visita della Basilica di San Pietro, della Sinagoga di Bologna e un incontro con alcuni buddisti.

L’obiettivo è quello di rendere consapevoli i bambini che esistono varie forme di religione (e quindi culture e tradizioni) che possono avere aspetti interessanti e condivisibili; solo grazie alla conoscenza, infatti, è possibile creare una rete di collaborazione tra tutte le persone, a prescindere dalla loro ‘diversità’. Guardando l’effetto che questo modo di presentare il mondo ha sui bambini, ci si rende conto di quanto i piccoli siano spugne che assorbono il mare che si estende attorno a loro; i più piccini non sono mai cattivi o malpensanti e l’unica arma che abbiamo per renderli ricchi è quella di far loro conoscere la realtà nella sua interezza.

L’unica forma di ‘diversità’ è l’essere ciechi di fronte ai vari e disparati modi di vivere che esistono al mondo: non si può credere davvero di essere un popolo sviluppato se non si conosce più della metà di quanto esiste e precludere ai più piccoli la scelta di essere chi essi vogliono è un atto di estremo egoismo. Lasciamo che l’integrazione diventi un processo naturale, proprio come quello che avviene negli occhi di un bambino che gioca con i suoi compagni di ogni parte del mondo.

Di Giulia Pezzullo

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