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Il lavoro visto con gli occhi dello stagista

Il lavoro visto con gli occhi dello stagista

Pur mettendocela tutta per entrare nel mondo del lavoro, uno stagista deve essere pronto ad affrontare qualsiasi ostacolo, i colleghi più anziani in p

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Pur mettendocela tutta per entrare nel mondo del lavoro, uno stagista deve essere pronto ad affrontare qualsiasi ostacolo, i colleghi più anziani in primis: è questa la storia di un ragazzo che dopo aver iniziato uno stage si trova di fronte ad una triste e cruda realtà.

È noto come negli ultimi tempi gli stage siano in netto rialzo. Purtroppo, però, pur essendo in astratto uno strumento positivo, sono utilizzati sempre più dai datori di lavoro in maniera distorta, alterandone i connotati.
Anche quando, quasi fosse un miraggio, si riesce a portarsi a casa un’esperienza di stage, la vita per il “fortunato” vincitore non è comunque facile, infatti molto spesso il tirocinante, sul campo, viene discriminato, soprattutto se non entra nei giochi di potere già ben collaudati lavoratori più anziani.
Proprio questa, ossia il comportamento dei lavoratori pigri e furbi, è la denuncia di un ragazzo a “La Nuvola del Lavoro”, il Blog del Corriere della Sera dedicato ad accogliere i racconti dei giovani e del mondo del lavoro.
Il ragazzo, di cui non conosciamo le generalità ma nel quale molti di noi si potranno sicuramente riconoscere, racconta della sua esperienza di stage in un’ambita azienda, rovinato proprio dal modo di lavorare dei dipendenti, totalmente disinteressati e intelligenti sfruttatori della burocrazia interna. A voi il piacere di leggere questo interessante racconto:

“Si parla di difficoltà a trovar lavoro per i giovani, di Jobs Act e di voucher. Io credevo di avercela fatta. Ed invece… Terminati gli studi universitari in scienze umanistiche, dopo mesi alla ricerca di un impiego, finalmente sono stato chiamato per un colloquio in una multinazionale: riuscire a farne parte è un sogno che diventa realtà solo dopo diverse prove.
E la sensazione di gioia che ho provato era provocata dall’entrare in un luogo in cui venisse premiato il merito e l’impegno. Impressione confermata dall’accoglienza del primo giorno, in cui ho incontrato i colleghi che mi avrebbero accompagnato nei mesi successivi, tutti giovani e motivati come me.
[…]

Nel giro di poche settimane, però, osservai come molti dipendenti “vivessero alla giornata” sfruttando l’inerzia della burocrazia interna e riuscendo in ogni caso ad apparire efficienti agli occhi dei superiori, infastidendo però chi invece si sforzava di adempiere correttamente al proprio lavoro.

I capi, al contempo, si dimostravano incapaci di distinguere il “furbetto” dal dipendente modello. Il risultato? Tutti i dipendenti erano portati a sdoppiare la propria personalità: da una parte dovevano esser vaghi, discreti e all’occorrenza prepotenti, così da poter gestire gli opportunisti e, magari, superarli; dall’altra invece ammaliavano i colleghi e mistificavano i risultati, riuscendo così a sopravvivere nella giungla dei numeri.

In breve mi resi conto che rendere incomprensibili i problemi, negoziare con gli indolenti e barare con i numeri, era il prezzo per far carriera; d’altra parte, laddove sono i numeri a raccontare la tua storia, se non bari rischi di venir superato da chi lo farà.

Alcuni stagisti si erano adattati a questo meccanismo, poiché questo garantiva loro di iniziare finalmente a lavorare. Altri, come me, invece, volevano di più, come la possibilità di dialogare apertamente sui problemi dell’organizzazione.
Alla fine però ho capito che a nessuno interessava ciò che avevo visto e non mi restavano che due alternative: adeguarmi alla situazione oppure lasciarmi espellere dal sistema, ritornando così alla disoccupazione.
[…]

Chissà che non siano proprio questi insegnamenti a far esitare il neoassunto quando incontra per la prima volta la realtà del mondo del lavoro, costretto a scegliere tra ciò ha imparato e ciò che gli viene chiesto”.

Di Lorenzo Maria Lucarelli

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