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Dura la vita per i giovani liberi professionisti!

Dura la vita per i giovani liberi professionisti!

Questo è quanto possiamo constatare con i nostri stessi occhi, che non fanno altro che osservare difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e tanta, t

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Questo è quanto possiamo constatare con i nostri stessi occhi, che non fanno altro che osservare difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e tanta, tanta poca disposizione dei datori di lavoro nel fare un passo avanti

Il mondo del lavoro è un ambiente molto tosto e i liberi professionisti annaspano tra difficoltà di ogni genere e una perenne crisi.

Non basta la preparazione universitaria, alle volte nemmeno la specializzazione successiva, tante volte l’unica cosa che conta, unita sempre ad una buona dose di competenze, è solo una sonora “botta di fortuna”.

E anche quando siamo fortunati, la vita non è comunque facile. Parlo con cognizione di causa, avendo vissuto sulla mia stessa pelle la condizione di praticante avvocato. Niente “stipendio” solo tante responsabilità in cambio della possibilità di poter imparare gratuitamente.

I datori di lavoro, anche loro feriti dalla crisi economica, sembrano spesso non avvertire alcun senso di solidarietà verso i giovani praticanti, di qualsiasi settore si tratti. Classica domanda che mi sono posto più volte: ma non sono stati giovani anche loro?

Alcune testimonianze, di moltissimi ragazzi che si trovano nella situazione descritta, sono state pubblicate in un articolo del Corriere della Sera di ieri (versione online) e, leggendole, non posso fare altro che immedesimarmi. Tutti hanno scelto le classiche libere professioni, un tempo nobilitanti, oggi non è detto: l’avvocato, il notaio, l’ingegnere.

Facciamo un esempio esplicativo. Valentina B. ha 29 anni e ha svolto la pratica forense a Vicenza cambiando diversi studi legali, sopportando umiliazione e non guadagnando alcunché. “In certi momenti 26 è stato un incubo. Ho pensato di mollare tutto. Nel primo studio facevo, in pratica, la segretaria. “Valentina il caffè!”. “Valentina la fotocopia!” Ma le segretarie, ovviamente, portavano a casa lo stipendio. Io no. Nel secondo studio è andata meglio, ho imparato qualcosa. Ma non sono mai stata pagata. Il tema, semplicemente, non è stato affrontato. In pausa pranzo correvo a dare ripetizioni, in modo da coprire almeno le spese di viaggio. E poi, qualche volta, le famiglie dei ragazzi mi offrivano da mangiare”. 

Sarebbero tante, tantissime le storie da raccontare ma che, del resto, non hanno nemmeno tanto bisogno di esser trattate perché rappresentano quanto viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni.

Eppure, a fronte di qualche datore di lavoro che ha veramente a cuore la situazione del ragazzo che prende con sé, la maggior parte non fa altro che difendersi, nascondendosi dietro un dito e accampando scuse o promesse di ogni tipo.

A questo punto una domanda mi sorge spontanea: conviene ancora, per un ragazzo, addentrarsi nella giungla della libera professione? Forse sì, forse no. Quel che è sicuro è che per uscirne vivi serve una bella dose di passione, volontà e voglia di sacrificarsi.

Di Lorenzo Maria Lucarelli

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