Ancora attentati, ancora vittime. Questa volta a Bruxelles, capitale d’Europa. E proprio da qui partiamo, da questo sistema che ha chiaramente fallito
Ancora attentati, ancora vittime. Questa volta a Bruxelles, capitale d’Europa. E proprio da qui partiamo, da questo sistema che ha chiaramente fallito e che ora piange i suoi morti causate da una politica completamente sbagliata.
Di Lorenzo Santucci
Martedì 22 Marzo il terrorista più ricercato al mondo, Salah Abdeslam, viene catturato nella sua abitazione della capitale belga; mercoledì 23 Marzo due attentati, uno all’aeroporto di Zaventem ed uno alla fermata della metro, provocano la morte di 32 persone e ne feriscono a centinaia. Potremmo riassumere così l’ennesimo, tragico attentato rivendicato dall’Is. Una sorta di punizione per aver catturato il loro uomo, dicono alcuni, o un attacco che potrebbe essere stato fatto per paura che proprio Salah potesse parlare. Ma no, non è possibile. E’ stato un attacco mirato, preciso e voluto indifferentemente dalla cattura del loro uomo. E allora giù con miriadi di chiacchiere e polveroni alzati che definire sterili è quantomeno riduttivo. Parole, sempre le stesse, che lasciano il tempo che trovano. Come pochi mesi fa, ritorna di moda la grande idea che tutti i musulmani siano terroristi (o, per citare Oriana Fallaci, “tutti i terroristi sono musulmani”), che il vero problema sia l’Islam o l’immigrato scappato dalla guerra. Senza dare troppo adito a tutte quelle parole che in questi giorni ci stanno soffocando, proverei a ragionare sulla questione, che è molto più complicata di quanto vogliano farci credere. Per partire proprio dai fatti di Bruxelles, le domande sorgono spontanee. Sapere della cattura di un terrorista che si trovava proprio a due passi da chi lo stava cercando da mesi e così intensamente, lascia abbastanza perplessi. Non solo, l’attentato all’aeroporto è un qualcosa che andava ampiamente previsto e sventato.
Come è possibile che delle persone che erano note alle autorità belga non vengano riconosciute? C’è qualcosa che non torna. Addossare la colpa su tutti coloro che professano un tipo di religione sarebbe, oltre che offensivo, anche molto banale ed alquanto riduttivo. E’ come se venissero classificati come assassini tutti i cristiani cattolici per il genocidio portato avanti dai Hutu in Ruanda, che ha provocato la morte di circa 800.00 Tutsi. No. Nessuna guerra di religione e soprattutto nessun vero attacco all’Occidente. Questo è ciò che vogliono che tutti credano, vogliono far diffondere la paura (che c’è) come se tutto questo non fosse mai stato messo in preventivo. Ed allora i cittadini europei, che fino al 13 novembre l’Isis lo conoscevano ma non si erano mai preoccupati di nulla, iniziano a temere. Ma si sa, la paura ce l’hai solo quando il pericolo ti tocca molto più da vicino, quando sai che veramente potrebbe accadere a te. Dietro tutti quei fiumi di belle parole, dietro quei #jesuisqualcosa non c’è niente. Perché noi non siamo stati mai Beirut, non siamo mai Istanbul e non saremo mai Damasco.
Non sono qui a scrivere la solita ramanzina a chi, magari veramente, sente di poter partecipare al dolore di una tragedia con un semplice gesto. Ben vengano. Ma non si deve cadere nel tranello che ci stanno ormai escogitando da tempo ed al quale stiamo piano piano abboccando come pesci all’amo. Siamo in guerra, sì, ma non lo scopriamo oggi. Siamo sempre stati in guerra solo che adesso a pagarne le conseguenze siamo anche noi e non soltanto i cittadini dei Paesi dai quali vogliamo trarre profitto. L’esportare la democrazia nei Paesi che ne necessitano è una scusa occidentale squallida quanto mai antica, che adesso inizia a far dubitare anche quelli che veramente ritenevano quelle bombe utili per una pace futura. Senza entrare nella questione Siria, su stessa ammissione della democratica Hillary Clinton, l’Isis è una creazione americana nata per fronteggiare il governo di Bashar al-Assad e che ora è sfuggita di mano. Chi li finanzia? Chi veramente li combatte e chi invece cerca dei profitti? Queste sono le vere domande che dobbiamo iniziare a porci. Per quale motivo in Arabia Saudita, dove è in vigore tutt’ora la pena di morte, nessuno vuole esportare la sua democrazia? La risposta è sempre quella, interessi. Gli stessi che l’Occidente continua a mettere davanti ogni altra vera esigenza. Questa cieca mentalità che non porta a vedere altro se non quello che accade all’interno del nostro orticello ci sta riportando oggi alle ore di quattro mesi fa al Bataclan e porterà ancora disastri. Magari non nella nostra Europa, magari non nel nostro orticello, ma dovremmo essere indignati in egual misura. Indignati e delusi da chi vuole farci ancora credere che l’Europa non è un sistema che ha fallito e che deve trarre le sue conseguenze.
Ha fallito, come ha fallito Bruxelles. Un dramma, quello che è avvenuto pochi giorni fa, che lascia veramente attoniti nel pensare che, forse, poteva essere sventato se si fosse fatta maggiore attenzione (e non voglio andare oltre). Si conoscevano gli attentatori, si sapeva dove era situata la casa di Salah e non gli si è stata fatta nessuna domanda su eventuali attentati futuri. Eppure la sua abitazione, stando a sentire quanto riportano giornali e le stesse autorità, conteneva un arsenale che lasciava presagire proprio questo.
No. Non ci siamo. E finché continueremo a nascondere il vero problema, ovvero che siamo noi Occidente ad attentare alla nostra stessa libertà fino a quando non smetteremo di porre avanti gli interessi economici alle priorità, non ne usciremo mai e sempre più spesso parleremo di Bataclan o di Zaventem, con altri nomi, altre storie e, soprattutto, altre vittime.
COMMENTS