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La devianza del Leicester City

La più grande favola calcistica si è compiuta. Ne avevamo un bisogno estremo essendo soggetti ad un sistema calcistico che perde sempre di più il suo

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La più grande favola calcistica si è compiuta. Ne avevamo un bisogno estremo essendo soggetti ad un sistema calcistico che perde sempre di più il suo valore ideologico.

vardy

 Nella sociologia il termine devianza è un concetto fondamentale: questa infatti ha diverse accezioni, la maggior parte delle quali positive. Abituati al concetto di devianza come un qualcosa che si estranei dalla tradizione comune, per molti sociologi senza di essa non avremmo alcun progresso nella nostra società. Meglio: se tutti aderissimo alle regole standard che ci hanno insegnato i nostri antenati sarebbe un mondo piatto, dove non accadrebbe mai nulla. Se invece qualcuno decidesse di spezzare questo filo, beh ecco che qualcosa di nuovo potrebbe accadere. Certo i vari Emile Durkheim, George Simmel o Michel Faucault mai avrebbero pensato che un pensiero così profondo potesse essere attuato un giorno per il gioco del calcio.

Nel cuore dell’Inghilterra infatti, nella contea del Leicestershire, una cittadina di appena 285.000 abitanti è diventata capoluogo del Regno Unito. No, non capitale politica, non sarei così profano da spodestare sua Maestà. Questo luogo, però, è diventato il simbolo di tutte quelle persone che credono ancora nelle favole. Quelle storie che ti raccontano da piccolo, ma alle quali sei quasi costretto a non credere per non illuderti troppo. Queste storielle i giocatori del Leicester City le dovevano conoscere proprio bene per riuscire a compiere l’impresa di vincere il titolo, arrivando più in là dei milioni di arabi e sceicchi di turno. Oppure hanno studiato tutti sociologia, perchè hanno interpretato ed incarnato a meraviglia il concetto di devianza. Follia, pura pazzia più che devianza. Anche se, permettetemi, mi sorge un po’ il dubbio andando a conoscere bene i protagonisti di questo racconto: il loro capitano si era quasi deciso a smettere di giocare e si era aperto diverse strutture dove poter fare tatuaggi; il loro mediano è un ragazzetto che nella vita sa fare solo una cosa, ma come la fa lui non l’ha fatta nessuno mai: correre, correre e correre; il loro bomber, invece, lavorava in fabbrica fino a pochi anni fa, proveniente da quella working class che adesso lo ha preso come idolo e come punto di riferimento e della quale lui non si è dimenticato e continua ancora a frequentare per rispetto di chi, a differenza sua, non ha avuto la fortuna di sfondare e di farsi una nuova vita. Il più folle di tutti, lo scrittore di questo capolavoro, è un prodotto nostrano che abbiamo ripudiato ed accusato tante di quelle volte mentre adesso lo erigiamo a nostro santo protettore. Ma noi italiani siamo così, voltagabbana per eccellenza. La vittoria del campionato più affascinante del mondo è stata sempre roba di quelle società che avevano una storia ed una tradizione calcistica da far invidia a tutti e, dove non arrivavano queste, compensavano i milioni di chi ha intrapreso la strada del calcio solo per business e guadagno.

                                                         ranieri

 La passione, il sudore e la lotta non sanno neanche che vuol dire. Ingredienti che non sono semplici da comprare, quasi impossibili, che arrivano solo attraverso il sacrificio e la mentalità. Quella stessa mentalità che un mancato titolare di una macelleria di Testaccio, a Roma, di nome Claudio Ranieri, è riuscito ad inculcare in chi fino a quel momento era dato per spacciato, per prossimo retrocesso. Ed è questo che ci è piaciuto a noi e, di sicuro , gli è  piaciuto molto anche a loro: si sono così tanto divertiti che sono passati sopra anche al calcio più brutto d’Inghilterra, quello catenacciaro all’italiana che troppo ci hanno criticato, quelle sfangate (come va di moda chiamarle adesso) orrende ma efficaci che tanto ci hanno fatto vincere. La cosa più bella, Claudio, è che hai vinto nella terra nativa del pallone: loro lo hanno inventato, ma noi gli abbiamo insegnato a vincere, da sempre. Anche stavolta.

Una poesia, una cantica dantesca, una rappresentazione teatrale pirandelliana: chiamatela come volete ma questa è stata e sarà per sempre la devianza più bella del mondo. Questa è la vittoria di tutti. Di coloro che abitano le classi più basse della società, degli invisibili, dei sognatori. Ci siamo immedesimati in una realtà che non ci apparteneva perchè anche noi stessi faticavamo nel credere che quello che stava per accadere fosse vero. Forse anche un po’ rammaricati che una storia del genere, qui dalle nostre parti, è quasi impossibile da vedere, dove i posti in alto nel calcio sono riservati solo ai pochi addetti (e sempre agli stessi) e non c’è spazio per le piccole realtà.

L’uscita di scena definitiva  di un Peter Schmeilchel che ha fatto spazio a suo figlio Kasper (parlando ovviamente per ossimeri), la rocciosità di Huth, la provvidenza di Morgan, il tatticismo di Drinkwater hanno permesso che tutto questo si sia potuto realizzare in una cornice stupenda ed hanno alimentato le giocate di un certo Mahrez, capace di dispensare calcio lì dove di qualità prorpio non ce n’era e di Jamie Vardy che spaccava la porta con una cattiveria che solo chi fino all’altro ieri non aveva niente può mettere in campo. E’ stato tutto perfetto. “Magic, unbelievable”, come ha detto Sir Claudio (o Sor, come preferite).

tifosi

Consapevoli che questi racconti difficilmente potranno ancora essere scritti o narrati, almeno non nel futuro più prossimo, ci godiamo una favola calcistica che contiene devianza sociologica allo stato puro. Ci sentiamo vicini ad una città, ad una tifoseria che ancora non sono riuscite a realizzare un evento storico come questo: “Dilly ding dilly dong men! You are the champions!”

 

Di Lorenzo Santucci

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