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Parola d’ordine: distinguere

Parola d’ordine: distinguere

Ogni anniversario della presa della Bastiglia, in Francia, è festa nazionale: il 14 luglio 2016 sarà ricordato però per la terribile tragedia che si è

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Ogni anniversario della presa della Bastiglia, in Francia, è festa nazionale: il 14 luglio 2016 sarà ricordato però per la terribile tragedia che si è consumata sulla Promenade des Anglais, a Nizza.

Di Irene Tinero

Nella Nizza di questi giorni la Promenade è stata riaperta, le candele si sono spente, i fiori sono ormai secchi, peluche e disegni sono stati tolti: la vita è tornata quella di sempre, tra bagnanti che affollano le spiagge e qualcuno che li guarda da lontano ancora scettico.

In tutte le tragedie che si rispettino si insinua sempre una bella storia, ricolma di speranza:

giovedì, nella cittadina francese, c’erano 8 ragazzi, studenti in Legge all’Università di Torino. Da una settimana stavano vivendo la loro summer school, organizzata con l’ateneo di Nizza.

Immaginate la scena: caoticamente dieci ragazzi si tirano a lucido per andare a cenare. Fanno i conti, sempre troppa poca disponibilità e quindi decidono di mangiare tra le vie interne, sperando di risparmiare un po’ rispetto alla Promenade.
Una risata tira l’altra, un brindisi qui, uno di là: fanno tardi e arrivano a fuochi finiti.

È qui che sentono i primi colpi: urla e pianti intorno a loro, un fiume di persone in corsa, non capiscono. “Un uomo ci ha mimato un mitra per segnalarci un pericolo”.
Iniziano così a correre anche loro, finché non trovano un palazzo a vetrate: il caso vuole che a farli entrare siano degli italiani. Nella confusione generale sopraggiungono altri, un uomo perde i sensi. I compatrioti però decidono che sono troppi e non c’è spazio per tutti.

Scende all’ingresso del palazzo Hamza Bayren, un imbianchino tunisino di 29 anni: “Ho visto il terrore nelle loro facce”. I ragazzi parlano solo italiano, Hamza solo arabo. Grazie ad un ragazzo di origini marocchine riescono a mediare e il giovane invita gli studenti a salire in casa sua.
La diffidenza ferma le ragazze sulla soglia, ma d’altro canto non avrebbero potuto rimanere facili bersagli davanti quelle vetrate: “Tutti noi avevamo in mente le scene del Bataclan”.
Si sentono rassicurate quando Hamza gli porta sedie, coperte, acqua e cioccolato: la moglie, incinta, vestita in abiti tradizionali con tanto di velo, gli offre la cena, mentre un bimbo di 2 anni sdrammatizza un po’. Insieme cercano un canale in italiano per capire cosa stia succedendo.

Quella notte il gruppo di amici è rimasto nella casa fino alle 2, ma sono tornati nuovamente da quella famiglia: “Li abbiamo ringraziati e ci siamo scusati”.
Bayrem si è detto “felice” di quella visita: “Non abbiamo fatto nulla di straordinario, quelle ragazze avevano rischiato la vita e dovevano essere protette. Lo avrebbe fatto chiunque”. Io non credo Hamza, soprattutto se a parti inverse.
Sono rimasti che si rivedranno ancora per una cena a base di cous cous.

“Io e mia moglie siamo musulmani praticanti”– continua il giovane tunisino, vicino per origini ed età al folle autista del camion- “e ciò che è avvenuto non può in nessun modo rappresentare l’islam”.
Ricorda che anche per loro giovedì è stato un susseguirsi di perdite: 30 delle 84 vittime erano musulmane, in assoluto la comunità più colpita.
“La religione ci chiede clemenza. Anche verso gli animali, figuriamoci verso le persone. Io al lavoro, quando vernicio, sto sempre attento a non uccidere gli insetti”.
Conclude così Hamza, rifilando una bella lezione a chiunque voglia fare di tutta un’erba un fascio e siglando (un po’) di pace a base di cous cous.

Di Irene Tinero

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