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Ospedali sotto attacco

Dal Medio Oriente alla Nigeria, come in tutte le innumerevoli guerre, gli ospedali finiscono sempre nel mirino di attacchi militari e non. Quella in S

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Dal Medio Oriente alla Nigeria, come in tutte le innumerevoli guerre, gli ospedali finiscono sempre nel mirino di attacchi militari e non.

Quella in Syria è una guerra di “tutti contro tutti”, dove qualsiasi coordinata e bussola è ormai andata persa: ora sembra venire meno anche quel briciolo di umanità che rendeva sicuri alcuni, rari, luoghi.
Tra il 2011 e il 2015 sono morte 697 persone, tra medici e infermieri, 336 gli attacchi, di cui 240 a danni di ospedali: il 90% sono ad opera delle forze governative, il resto per mano di gruppi ribelli.

La sanità in guerra è preda di due tipi di incursioni: o si procurano danni alle strutture ospedaliere e si complicano i trasporti, o si attacca direttamente il personale medico.
In Syria, in una combo infernale, queste due modalità si sono fuse e in più è il governo stesso a limitare l’assistenza ai malati. Medici ed infermieri o vengono uccisi, o sono arrestati e torturati, o tutte e tre le cose nell’ordine che immaginerete. La maggior parte scappa verso zone in cui è più semplice offrire assistenza. Ad oggi, sono rimasti solo ospedali di fortuna dalle condizioni igieniche estremamente precarie, utili a raggiungere la Giordania, dove ci sono strutture migliori.

E’ stato definito “l’apice della sfacciataggine” il bombardamento al centro traumatologico di Kunduz (Afghanistan), avvenuto il 3 ottobre scorso per mano di aerei americani. La Casa Bianca si è giustificata dicendo che si è trattato di un “errore”: sebbene il 1 ottobre Washington avesse fatto delle domande in merito all’eventuale presenza di talebani in quella che sapevano essere una struttura di Msf, casualmente, due giorni dopo, l’ospedale è stato confuso per un “centro di comando talebano”, su cui il fuoco è stato erroneamente aperto 211 volte.
Medici Senza Frontiere, ha offerto ad Obama e alle sue timide scuse, 548 mila firme affinché venga aperta un’indagine internazionale in merito all’accaduto.

Perché oltre alla beffa, pure il danno: la prassi è che i governi di tutto il mondo si nascondano dietro il movente della ricerca dei terroristi, a loro dire, sparsi ovunque; si sentono così autorizzati a bombardare tutto e davanti a tragedie simili hanno sempre una scusa per non pagare.
La Russia, ufficialmente impiegata in Syria contro gli oppositori terroristi di Assad, sta notoriamente bombardando aeree piene di civili: Msf ha fatto notare l’accaduto e i danni che hanno provocato ai loro ospedali.
La risposta del governo russo? Hanno negato l’esistenza di alcune delle strutture coinvolte.

Eventi simili gettano nell’insicurezza totale il personale medico attivo nelle zone di guerra in tutto il mondo: eventi simili accadono in Nigeria grazie a Boko Haram, nella Repubblica Centro Africana e in Sudan; gli iracheni hanno ripetutamente attaccato il General Hospital di Fallujah; l’Inghilterra ha bombardato strutture ufficialmente gestite dall’Isis; gli israeliani sono stati autori di diversi attacchi a degli ospedali sulla striscia di Gaza.

Quando si diventa medico si sceglie di non fare distinzione alcuna e di non arrecare danno a nessuno: che tu sia un foreign fighters o un bambino orfano riceverai esattamente le stesse cure. Se sei un partoriente, qualcuno allestirà una sala operatoria alla buona, in un ex allevamento di polli, come ha fatto Loris De Filippi, Presidente Msf Italia.
Ma tutto questo non si riduce che ad un timido trafiletto di giornale.

“Vale sempre la pena mettere a repentaglio la tua vita per altri essere umani”– commenta, dopo tutto questo, Letizia Gualdoni, infermiera di Msf dell’ospedale pediatrico di Ramtha (Giordania): è esattamente davanti affermazioni simili che ci si rende conto che nel mondo, nonostante tutto, c’è ancora un briciolo di speranza.

Di Irene Tinero

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