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Galina Mursalieva racconta la “Blue Whale”: è lei che ne ha parlato per prima

Galina Mursalieva racconta la “Blue Whale”: è lei che ne ha parlato per prima

Si chiama Galina Mursalieva, è la prima giornalista russa che in un’inchiesta, pubblicata nel maggio del 2016, denunciò l’esistenza del gioco che ha p

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Si chiama Galina Mursalieva, è la prima giornalista russa che in un’inchiesta, pubblicata nel maggio del 2016, denunciò l’esistenza del gioco che ha portato al suicidio centinaia di ragazzi. Inizialmente fu sottovalutata.

Mentre sembra che anche le autorità italiane abbiano aperto gli occhi sull’inquietante fenomeno della “Blue Whale” (sono stati segnalati più di 40 casi sospetti), tanto da collaborare con l’Interpol e l’Europol, a tentare di fare un po’ di chiarezza è Galina Mursalieva.

Galina è la prima giornalista che in un’inchiesta per il giornale russo Novaya Gazeta, parlò, nel maggio del 2016, del pericoloso gioco che poi avrebbe portato alla morte centinaia di ragazzi.

In un’intervista di “Agi.it”, la reporter spiega perché era stata attratta da quei gruppi della morte che spopolavano sui social; come la sua inchiesta fu considerata dalle autorità; e cosa è la “Blue Whale”.

“Inizialmente molti non presero sul serio le parole di Galina Mursalieva, dovendosi però ricredere pian piano che aumentavano le morti di ragazzi giovanissimi, tutte avvenute in un modo simile. le autorità non hanno affrontato subito il caso; solo dopo alcuni mesi, il Comitato investigativo ha cambiato atteggiamento e, a settembre 2016 a San Pietroburgo, è stato aperto il primo caso penale contro gli amministratori, ignoti, di questi gruppi sui social”.

Filipp Lis è l’unico arrestato perché per le autorità è molto difficile indagare su questi casi e risalire al responsabile dato che spesso il ragazzo suicida elimina preventivamente, su comando del curatore, ogni dato che possa ricondurre a lui. Nel caso in cui, invece, non si giunga al gesto estremo, i ragazzi preferiscono nascondere la vicenda.

Respingendo le teorie che screditano la reale esistenza del gioco, la giornalista spiega come sia possibile che tutto ciò veramente avvenga:

“È una fase della vita di passaggio e in cui è molto facile portare una persona a un determinato stato d’animo, soprattutto quando si tratta di metodi come questi che usano la violenza psicologica in modo sistematico: danno un compito, delle regole, poi ti spingono a leggere libri, vedere film e sentire musica terrible. Ti convincono che nessuna persona normale può essere felice, che nessuno ti ama e che tu sei un “prescelto”, usano proprio questa parola”.
Dopo un’iniziale titubanza, anzi indifferenza, dei genitori e della autorità, tutti hanno cominciato a lavorare, chi per salvare i ragazzi, chi per scoprire i colpevoli. Quanto ai primi, questi hanno formato delle vere e proprie equipe di volontari per aiutare i ragazzi ad uscire fuori, indenni, da questo macabro gioco.

Come ci dicono gli inquirenti, pare che anche in Italia la “Blue Whale” abbia i suoi adepti: ragazzi, ora che tutti sappiamo di che si parla, teniamo gli occhi aperti, potremmo essere un prezioso aiuto per salvare qualcuno.

Di Lorenzo Maria Lucarelli

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