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Il declino dell’università italiana è vero?

Il declino dell’università italiana è vero?

Molti esperti, analizzando i dati demografici e di qualità sul mondo accademico nazionale, parlano di declino del sistema. Ma qual è il quadro più ver

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Molti esperti, analizzando i dati demografici e di qualità sul mondo accademico nazionale, parlano di declino del sistema. Ma qual è il quadro più veritiero possibile?

Parlare di declino è un termine forte, forse non troppo sincero. Molti giustamente cercano di smentire, ricordando comunque la qualità e preparazione degli studenti italiani dopo gli studi nelle nostre università. Tale affermazione è dimostrata da quanto siano ricercati all’estero.
Però certe cose non si possono negare, e se non possiamo parlare di declino in termine di preparazione e qualità totale di tanti campi, è innegabile che altri aspetti non funzionino.

Lo dimostra l’ultima statistica della Commissione Europea sul tasso di abbandono, relativa al 2016. 520mila studenti, regolarmente iscritti, che hanno deciso di rinunciare a conseguire la laurea. Peggio nel continente è messa solo la Francia.

Chi ci prova e chi abbandona, chi si stufa e lascia, chi per ragioni economiche, chi per voglia, chi magari per necessità di cercare un lavoro nell’immediato. La precarietà post lauream italiana sta spaventando sempre più ragazze e ragazzi, dato di fatto, ma le colpe potrebbero essere spartite su vari fronti.

Se oltre mezzo milione di studenti manda all’aria a metà o quasi alla fine la propria vita accademica, bruciando anche investimenti economici nazionali e delle famiglie, qualcosa chiaramente deve essere preso in considerazione.
Per capire la dimensione del problema basta confrontare questi 542mila abbandoni con l’intera popolazione, già diplomata nella stessa fascia anagrafica.

9% di rinuncia, a fronte della media europea del 6, e di paesi come la Germania sotto il 2%.

Pare che il 37% lasci dopo uno o due anni di studi per cercare lavoro (l’utopia della nostra generazione), un 28% per delusione verso ciò che si stava facendo all’università e un 18% per vari motivi, come problemi di salute o famiglia. Un restante 10% non specifica le reali difficoltà.

I primi due dati confermano quello che dicevamo prima. La laurea non è più vista nel nostro paese come un vero strumento per ottenere lavori qualificati, crescita professionale e stabilità. Il timore della disoccupazione dopo aver speso magari altri 5/6 anni sui libri è probabilmente un fattore psicologico davvero ingombrante.
E questo è un problema principalmente italiano, dato che nel resto d’Europa problemi familiari e di salute salgono al 30%, e il 23% l’insoddisfazione per ciò che si studia.

E allora continuiamo a chiederci cosa si possa fare per invertire la rotta, far cambiare idea nell’opinione media. Se l’università non viene più vista come un traguardo, una via per raggiungere obbiettivi irrealizzabili senza una laurea, allora il declino è veramente alle porte.

#FacceCaso

Di Umberto Scifoni

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