Nuovo appuntamento con le nostre interviste: oggi è Alessandra Tava a passare sotto le grinfie di Giorgia per parlare del suo nuovo libro. “Scrivo da
Nuovo appuntamento con le nostre interviste: oggi è Alessandra Tava a passare sotto le grinfie di Giorgia per parlare del suo nuovo libro.
“Scrivo da sempre per me stessa, vorrei scrivere per chi non conosco”, dichiara l’autrice Alessandra Tava,
giocatrice di basket professionista con la passione per la scrittura. “Buttati che è morbido” è il suo primo
libro edito da Albatros Edizioni ed è una storia per chi ama osare e anche per chi non sempre trova il
coraggio per farlo.
Un libro ambientato nella grande mela, nella città che non dorme mai: New York City. Alessandra Tava per un periodo della sua vita ha vissuto proprio lì, in mezzo a quegli immensi grattacieli, incrociando ed incontrando milioni di vite ogni giorno. Alcune di queste vite però, hanno davvero camminato accanto a lei ed è proprio grazie alla sua esperienza newyorkese che è nato il suo romanzo d’esordio: Buttati che è morbido.
Un libro vissuto, poi scritto a penna e riletto e poi diventato concretamente un romanzo. Noi l’abbiamo incontrata per scoprire qualcosa in più e per conoscerla meglio.
L’INTERVISTA
Il tuo libro racconta storie fotografate lungo la strada del tuo viaggio, aspetti umani dei tuoi compagni di viaggio che comprendono fragilità ed eccezioni: cosa hai riportato a “casa” come souvenir dopo questa avventura?
È vero, le fragilità e le eccezioni dei miei compagni di viaggio sono stati gli aspetti che più mi hanno colpito e che ho sentito l’esigenza di fotografare tramite le mie parole. Inoltre la cosa che mi ha travolto e anche coinvolto maggiormente è stata il modo in cui ho visto queste ragazze e questi ragazzi affrontare le loro fragilità e rendere speciale il loro modo di essere un’eccezione. Si sono buttati oltre le loro paure per vivere a modo loro e aver avuto la fortuna di poter osservare tutto questo processo lo reputo un dono prezioso. Gli occhi e gli sguardi delle persone incontrate durante il mio viaggio sono i souvenir non materiali che mi sono portata a casa. I souvenir materiali invece sono i quaderni che ho scritto quando ero lontana da casa. Lì dentro c’è tutto quello che mi serve per non dimenticare un solo attimo di quella avventura.
Laureata in scienze della comunicazione, giocatrice di Basket professionista ed esploratrice del mondo (e dell’anima), se dovessi trovare una parola chiave per unire tutte le tue passioni, quale sarebbe?
Sfida. Prendo sempre tutto come una sfida personale. È un continuo mettermi alla prova e soprattutto un continuo non esser mai del tutto soddisfatta perché “Posso fare di più”. Credo che la competitività che c’è dentro di me venga fuori in tutto quello che faccio. Che sia un allenamento, una partita, un esame, la stesura di un romanzo o il tentativo di raggiungere qualsiasi obiettivo. Ho vissuto come una sfida anche la decisione di lasciare il basket per trasferirmi a New York. Non sapevo bene a cosa sarei andata incontro, sarebbe stato più semplice per me rimanere nella mia comfort zone di atleta professionista ma ho preferito rimettermi in discussione e accettare questa sfida che mi ero, ancora una volta, proposta da sola. E a posteriori è stata una delle più belle sfide che ho avuto il coraggio di affrontare.
L’unica pausa che hai preso, nella tua carriera da professionista del basket, è stata quella per andare a New York. Sentivi la necessità di volare oltre il tuo “campo” o un filo del destino ti ha spinto verso quella che poi è stata la città natale del tuo romanzo?
Credo fermamente nel destino e allo stesso tempo credo nella potenza di essere gli artefici del proprio destino. Quella pausa che ho preso dalla mia carriera di atleta professionista sicuramente derivava dalla necessita di volare oltre il mio “campo”. Stavo perdendo l’entusiasmo che mi aveva sempre contraddistinta. Non volevo rischiare di arrivare ad odiare la pallacanestro, la cosa che più avevo amato fino a quel momento. Non potevo permettermelo, dovevo cercare altri stimoli. Quindi sono partita e il destino ha fatto sì che finissi proprio a NY dove ho ritrovato tutti gli stimoli di cui avevo bisogno. Così facendo ho potuto approfondire altre mie passioni e contemporaneamente questa pausa mi ha fatto anche sentire la mancanza del campo da basket nel quale sono tornata più motivata e con un bagaglio di esperienza dal valore, per me, inestimabile.
I protagonisti del tuo libro (no spoiler) sono diversi da loro, eppure c’è sempre qualche sfumatura che racconta, di personaggio in personaggio, una sensibilità ricorrente che somiglia alla penna dell’autrice. Ci sono piccole parti di Alessandra disseminate lungo le strade del tuo libro o è una semplice coincidenza della vita?
Non è assolutamente una coincidenza della vita. È vero, ci sono piccole parti di Alessandra ovunque. Ci tengo sempre a precisare che non sono nessuno dei quattro personaggi perché i protagonisti sono persone che realmente ho avuto il piacere di conoscere. Sono persone che mi hanno colpito per il loro modo di affrontare la vita, ognuno con le proprie sfumature diverse. Con loro ho vissuto la mia quotidianità newyorkese e sono stati proprio loro a lasciare il segno dentro di me. Quel segno che poi mi ha spinto a scrivere di loro. Detto questo, non ho potuto evitare di lasciare tracce della mia personalità in tutto il libro. Mi è venuto spontaneo di tanto in tanto scrivere anche di me, scrivere di cose che mi sono successe personalmente. Non sono nessuno dei personaggi ma, in realtà, sono un po’ in tutti. Diciamo che chi mi conosce bene mi può intravedere facilmente tra le righe di Buttati che è morbido. Proprio per questo motivo inizialmente ero molto gelosa del mio libro, decidere di pubblicarlo mi dava un po’ la sensazione di mettermi a nudo ma, la volontà di condividere la mia penna con altre persone ha alla fine prevalso.
#FacceCaso
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