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FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo album di CONROI

FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo album di CONROI

Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi è CONROI a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo album. Disponibi

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Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi è CONROI a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo album.

Disponibile su tutte le piattaforme digitali da venerdì 10 gennaio 2025 il nuovo album di CONROI dal titolo “Blues Rosa”. Ecco cosa contraddistingue, sul versante sonico, questo lavoro: ottenere qualcosa che sia il più possibile simile all’esperienza di suonare quel qualcosa – manifestando un flusso vero e proprio, dall’inizio alla fine di ogni canzone, a partire dalla struttura peculiare di ognuna.

Come sempre, ci piace conoscere gli artisti partendo dagli inizi. Abbiamo quindi intervistato CONROI facendoci raccontare qualcosa sul suo rapporto con la musica e, ovviamente, sul suo percorso scolastico.

Questo è un sito dedicato agli studenti, quindi non possiamo che iniziare col chiederti qualcosa sul tuo percorso scolastico.
Ho fatto un anno di scuola pubblica in una classe mista, quelle dove ci sono persone di età diverse – e la maestra diceva che ero un mare in tempesta. Conservo ancora un disegno di quell’età – fatto da lei presumo – con cerchi di diverse grandezze colorati o scarabocchiati da me e una didascalia scritta da lei: nozione di grande e piccolo.
Forse per questo, tra le varianti del nome CONROI c’è Mar Conroi, che include il mio nome al suo interno e un riferimento al mare, una variante che cito raramente. Poi ho frequentato una scuola cattolica per motivi logistici (apriva prima) dove impari molto bene il corsivo; le medie facevo finta di cantare only you dei Platters prima che il bidello ci cacciasse dall’aula magna; il liceo scientifico dove ho fatto occupazione e un paio d’anni di giurisprudenza: all’incirca fino a quando mi sono trasferito al Dams – e ho cominciato a suonicchiare – con indirizzo cinema. Poi ho fatto la magistrale in storia del teatro e un anno di digital art e nuovi generi in America con una borsa di studio, nel frattempo.

E che tipo di rapporto hai invece con lo studio della musica? Si può fare musica senza studiarla?
Si può fare musica senza suonarla? La risposta sarebbe stata comunque: sì.
Teoricamente, può essere bello vedere i rapporti che ci sono tra le note: c’è, ad esempio, una struttura ad alveare che le contiene e si possono colorare gli esagoni per fare emergere i diversi pattern che riflettono questi rapporti.
Studiarla? Perché no, ma dipende da cosa la musica è per noi.

“Blues Rosa” è il tuo nuovo disco. Come hai portato avanti il suo processo di creazione?
Non saprei, come se fosse una sorta di arcobaleno dalle percezioni iniziali che fanno scaturire una canzone? Fissarla in una forma unica, come quella che trovi su un disco, è un bell’azzardo e forse non è l’aspetto che preferiamo… tra tutte le forme che vuole prendere una canzone, tutte le strade che vorrebbe fare, tutte le sembianze che vorrebbe avere. Ho lasciato che queste canzoni acquisissero varie forme e che io prendessi la forma di tutte le cose che mi era dato da esprimere: il processo di creazione non ha riguardato solo questo disco, ma più dischi contemporaneamente – quello precedente a Blues Rosa e, almeno, il prossimo. Una specie di zoo di creature abbastanza selvagge, che non hanno voglia né di essere ricondotte a una propria forma definitiva né di essere recintate in un disco o nell’altro. Non è facile e il processo può essere migliore – meno forsennato – del mio, mi auguro. Ricollegandomi alla domanda di prima, forse mi sono concentrato abbastanza sullo studio degli arrangiamenti, ma quindi con un’impronta non strettamente musicale, anche drammaturgica, si potrebbe dire.

Che cosa può raccontare di te questo disco a chi non ti conosce?
Non lo so. Forse non parla neanche di me. Racconta la musica che mi piace, probabilmente, o tenta di restituirla. È più come se raccontasse di una sagoma – e a una sagoma – che può essere abitata da chi lo ascolta. Sono canzoni che parlano di trasformazione, probabilmente. Racconta del mio rapporto con le cose immutabili, forse o della mia sfida alle cose immutabili – o apparentemente tali. Racconta dei miei sentimenti verso la natura, il mondo, l’altro, più che di me.

Se potessi parlare al te stesso di quando eri ancora uno studente, che cosa gli diresti?
Non avrei il coraggio di dirgli di prepararsi al peggio!
Potrei dirgli che è in grado di farcela e che le cose vanno attraversate.
Ma credo di parlarci continuamente, cerchi di parlare con tutti i te stesso di tutte le età e, soprattutto, di ascoltarli.

#FacceCaso

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