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FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo singolo dei The Sunset

FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo singolo dei The Sunset

Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi sono i The Sunset a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo singolo.

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Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi sono i The Sunset a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo singolo.

Dopo aver festeggiato i dieci anni dal loro primo disco con il progetto On/Off, i The Sunset tornano con un nuovo singolo, Upon the Apple, che segna l’inizio di un nuovo capitolo. Energia, ironia e un’irrefrenabile voglia di suonare dal vivo sono ancora al centro della loro identità, costruita nel tempo tra studi, amicizie e jam session. Li abbiamo incontrati per parlare di scuola, formazione, passato e futuro: un dialogo che sembra chiudere un cerchio iniziato proprio tra i banchi di un liceo.

Questo è un sito dedicato agli studenti, quindi non possiamo che iniziare col chiedervi qualcosa in più sul vostro percorso scolastico. Com’è andata?
Beh, poteva andare meglio. Diciamo che durante il liceo eravamo tutti concentrati su altro, la nostra fretta di vivere ci ha distratto parecchio. L’amore per la cultura però c’è sempre stato. Ad esempio maestro Daolio (il bassista) è un grande amante della letteratura — in casa ha più librerie che pareti vuote — e Cotroneo (il chitarrista) ha sentito il bisogno di rimettersi a studiare e si è persino laureato in Lettere.

E con lo studio della musica che tipo di rapporto avete? È vera quella cosa che si dice, che per fare musica bisogna per forza anche studiarla? Com’è andata per voi?
Per fare musica non bisogna per forza studiarla, bisogna conoscerla. Ovviamente, arrivati a un certo livello, se non si studia l’armonia si fa fatica a stare dietro agli altri — soprattutto nei progetti con una forte matrice jazz. Il rischio è di non capire cosa succede e fare errori: può diventare un problema.
Se si suona blues invece potete stare tranquilli: ascoltate tanta musica, imparate qualche concetto di base, assimilate il linguaggio e lasciatevi andare.
In generale, comunque, lo studio arricchisce sempre: è una scorciatoia per raggiungere livelli di complessità che richiederebbero anni di astrazione.
Riguardo la nostra formazione, a parte Pestuggia (il cantante), tutti gli altri hanno studiato musica in modo più avanzato. Lui ha studiato da ragazzo e poi ha viaggiato per conto suo. Daolio e Fabr Ice (il batterista) hanno studiato jazz alla Civica di Milano — si sono conosciuti lì. Cotroneo, invece, ha iniziato con la chitarra classica e poi, scoperto il blues, ha proseguito da autodidatta fino al CPM.
Quindi, sezione ritmica a parte, abbiamo background diversi. Stranamente funziona tutto quando suoniamo insieme: sarà questione di chimica, boh! Ci ascoltiamo di più quando suoniamo che quando parliamo.

Come mai avete sentito l’esigenza di riproporre alcuni dei vostri vecchi pezzi, in versione live?
L’idea è nata a dieci mani e cinque cervelli — cioè dall’unione tra i The Sunset e l’ingegnere supremo Fasoli, co-fondatore dei Phaser Studios.
Alla base c’era la volontà di festeggiare i dieci anni dal nostro primo disco, prodotto sempre con loro quando eravamo sbarbatelli. Dopo tutto questo tempo la voglia di guardarsi indietro e tirare le somme è stata inevitabile.
Visto anche le tante pause nella nostra carriera, ci piaceva l’idea — prima di ripartire con un nuovo album — di fare il punto su ciò che è stato, magari osando e cambiando qualcosa, ma assolutamente live e senza fronzoli, alla vecchia maniera.
Da qui è nato anche il documentario girato durante la live session di On/Off: un modo per celebrare, ricordare e cristallizzare il nostro passato artistico, insieme al legame con i Phaser Studios. Senza di loro, noi non saremmo gli stessi.

E quanto la musica dal vivo è importante per la promozione di un progetto come il vostro? Suonare dal vivo è diventato più difficile, con il passare degli anni?
L’impressione a volte è che sia cambiato tutto. Prima del Covid suonavamo spessissimo in molti locali a Milano. Dopo il Covid, molti di quei posti non hanno più riaperto.
Oggi tanti locali propongono solo tribute band e cover band, limitando l’emergere dei giovani artisti. E va detto che anche il pubblico è meno presente, se non conosce già il progetto.
Suonare live però è fondamentale — e non solo per noi. Senza spazi adeguati, i ragazzi cercano musica solo online o guardando talent show, alimentando un sistema poco realistico.
C’è gente che non ha mai fatto un concerto e si ritrova con centinaia di migliaia di stream, venendo considerata un’artista al pari di chi scrive e suona da una vita, solo per una cover entrata in tendenza.
Sul palco invece si vede l’anima della band, la sua energia, il feeling che i suoi membri condividono.
Noi siamo cresciuti sui palchi e sui palchi vogliamo morire — magari messi al rogo, immolati, come bonzi rock: sarebbe un ottimo videoclip!

E come raccontereste gli inizi di questo progetto, che dura nonostante i cambiamenti del mercato musicale?
Ci sono varie leggende riguardo il primo incontro tra Pestuggia (il cantante) e Cotroneo (il chitarrista).
La più diffusa racconta di un ritrovo casuale in Nepal, durante un viaggio spirituale: nel cercare sé stessi, avrebbero trovato l’altro, un incontro karmico voluto dall’universo.
La verità, però, è più da film per teenager ed è avvenuta in un liceo di Cesano Maderno.
Cotroneo, appena trasferitosi in Brianza, è stato presentato a Pestuggia durante l’intervallo dal professore di Arte — lui era di un’altra classe.
“Lui suona, si è appena trasferito, secondo me dovreste fare qualcosa insieme.”
Così disse, e così è stato. Per far nascere i Sunset sono morte altre due band, quell’anno.
Chissà se il prof se ne ricorda.
Grazie per averci fatto ricordare i nostri inizi — è bellissimo parlare di una band nata nei corridoi di una scuola, su un sito per studenti. Forse è la prima intervista in cui la storia calza così a pennello.
Bacetti!

#FacceCasi

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