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FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo singolo dei MCKENZIE

FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo singolo dei MCKENZIE

Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi sono i MCKENZIE a passare sotto le grinfie della nostra redazione per parlare del nuovo sin

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Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi sono i MCKENZIE a passare sotto le grinfie della nostra redazione per parlare del nuovo singolo.

Dal 10 settembre è disponibile in rotazione radiofonica “VARENNE”, brano estratto da “ZOOLOFT” (Blackcandy Produzioni/Believe), nuovo album dei MCKENZIE già presente su tutte le piattaforme di streaming.

Un battito di mani per simboleggiare il trotto, una batteria percussiva per ricordare il galoppo e i violini di Nicola Manzan per simboleggiare la tensione di una vita travagliata com’è stata quella del campione Varenne – a cui deve il titolo questa canzone dei McKenzie -, com’è quella di tanti uomini e tante donne considerati già dei perdenti dalla nostra società occidentale. Persone, individui, esseri umani che vagano da un “padrone” a un altro nella speranza di trovare l’occasione giusta, il riscatto da una vita dal sapore amaro che non hanno scelto. “Varenne” fa parte di “Zooloft”, album di otto tracce pubblicato dai McKenzie ad agosto.

Ecco cosa ci hanno raccontato!

Quali sono le vostre influenze musicali? Qualcosa che non ci aspetteremmo?
Siamo costretti a dare una risposta che spesso risulta banale e anche un po’ presuntuosa ma siamo divoratori di musica e in quanto tali ne ascoltiamo tantissima e diversa. È successo che qualcuno abbia trovato nel nostro stile similitudini con band o artisti da noi ignorati, in quel caso la spiegazione sta nella concatenazione delle influenze che ti portano ad assomigliare a qualcuno di cui non ne conoscevi l’esistenza. Sicuramente tra i nostri ascolti puoi trovare tutti i gruppi passati sotto l’etichetta Grunge (soprattuto quelli più sconosciuti), l’Hardcore, il Rap (tantissimo anche italiano), il Post-Rock e poi tutto quello che è nato negli anni 90, anche le cose peggiori. La nostra infanzia ed adolescenza è passata in quella decade, quindi siamo stati inevitabilmente influenzati da quel periodo musicale.
Qualcosa che non vi aspettereste potrebbe essere Magica Musica di Venerus, Blind Joe Death di John Faey e Travelling Without Moving di Jamiroquai.

Questo è il vostro secondo album, di solito l’album più difficile nella carriera di una band. Come avete saputo rinnovarvi?
Per noi, invece, è stato meno faticoso di Falena e dell’Ep perché avevamo chiaro fin dall’inizio tutto il processo di costruzione, dai temi da affrontare fino alla produzione in fase finale. Non ci siamo più chiesti come avrebbero potuto suonare le nostre nuove canzoni per gli altri, quale sarebbero state le possibili reazioni e cosa ci si aspettava da noi con questo nuovo disco. C’è stato senza dubbio un rinnovamento, perché abbiamo deciso di concentrare la scrittura in tre mesi (nonostante il tour ancora in corso), di usare il metronomo già in fase compositiva, che per noi violentatori di strumenti è stata una cosa parecchio strana ma ha aiutato ad inquadrare bene tutto l’aspetto ritmico, fondamentale per il nostro approccio. Abbiamo affrontato la realizzazione di questo disco in maniera professionale, un po’ come succede per quei dischi che poi diventano epocali. Sai le storie in cui la band con il manager, fonico, produttore e tutto lo staff si siede a tavolino e compone prima il concetto di quello che sarà il disco dando spazio al flusso creativo? Beh, è andata praticamente così, la differenza è che eravamo solo noi tre seduti a quel tavolo (ahahahah)!

Qual è il sentimento che vi spinge a fare musica?
La necessità di farla. È una propensione naturale, ognuno ne ha una ed ogni giorno si alza per alimentare quella fiammella che poi permette di andare avanti nella vita. Non è assolutamente facile fare musica in un contesto come quello italiano, la pandemia ha dimostrato e continua a dimostrare come la gestione dell’affare “spettacolo” in Italia non sia affatto centrale e ciò si traduce in una vita di sacrifici e rinunce per chi lavora in questo campo, anche per coloro che “fanno i soldi”, immaginatevi per chi conduce una vita normale lavorando nella musica. Quando ci fanno questa domanda citiamo sempre il Colle Der Fomento che in una canzone recita: “Io faccio il mio e non lo faccio né per loro né per l’oro, lo faccio solamente perché sinnò me moro”.

Quali feedback avete ricevuto sul vostro progetto? Chi è che vi supporta maggiormente in quello che fate?
Ci sono innanzitutto le persone vicine a noi a supportare il progetto, quelle con cui sei cresciuto, quelle legate e a te per motivi affettivi e poi ci sono quelle che hai conosciuto durante questo percorso come McKenzie, nonostante sia passato ancora non molto tempo(poco più di cinque anni dalla nascita e un lungo stop per la pandemia). Naturalmente le ultime ti colpiscono di più perché non c’è nessun legame pregresso, nessuna conoscenza ma ti ascoltano per caso durante un concerto, attraverso i social e si affezionano, si sentono subito parte del tuo mondo e capiscono quello che vuoi dire attraverso le canzoni. Quindi possiamo dire essere proprio gli estranei a supportarci di più in ciò che facciamo, non per togliere meriti a chi è al nostro fianco fin dall’inizio accusandone anche i colpi in alcuni casi, ma perché nel primo caso sono le nostre canzoni a rappresentare noi stessi, non il contrario, esse vivono a prescindere da noi ed è ciò che ogni musicista ricerca nella proprio arte.

Quale domanda avrei dovuto assolutamente farvi e non vi ho fatto?
Non ci hai chiesto da dove derivi il nome della band! Scherziamo, anzi, per fortuna non lo hai fatto perché crediamo sia superfluo spiegarne il significato, è più banale di quanto possa sembrare.

Questo è un portale dedicato agli studenti, cosa potete raccontarci del vostro percorso scolastico?
È stato un un periodo stupendo con alti e bassi come per tutte le persone, anche quelle considerate bravissime o geniali, il metro di valutazione è sempre in relazione all’aspettativa che ognuno ha del proprio percorso. Ne potremmo raccontare di tutti i colori e in certi casi rischiare di essere linciati anche a distanza di tantissimi anni! Ciò che ci sentiamo dire è di cercare di rendere prezioso ogni momento, sia nei rapporti sociali tra compagni che con i professori, perché è il periodo più bello della vita, lo dicevano sempre i nostri genitori e professori e oggi capiamo il perché. Non bisogna mai smettere di essere curiosi, affamati e coltivare il proprio pensiero critico, che non vuol dire contestare sempre tutti ma, al contrario, ascoltare sempre l’opinione altrui.

#FacceCaso

Di Giorgia Groccia

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