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La ricetta di nonna Angela

Le mosse con cui la Cancelliera tedesca sta provando a cambiare l'immagine di sé agli occhi dell'Europa e de Mondo attraverso il suo intervento per la

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Le mosse con cui la Cancelliera tedesca sta provando a cambiare l’immagine di sé agli occhi dell’Europa e de Mondo attraverso il suo intervento per la crisi immigrazione.

Di Francesco Bechis

 

Sembrano quasi sfocate le immagini di una Germania fredda e impassibile davanti alla Grecia piegata dai debiti e incapace di farvi fronte con riforme adeguate. Sembra annegare nella nebbia l’immagine della Cancelliera/ Dart Fener che fa piangere una bambina libanese, spiegando che il diritto di asilo non può essere per tutti. Il volto di ferro di Angela Merkel appare in forma di santino da qualche giorno sui cartelloni festanti di profughi siriani. La tragedia che sconvolge il Mediterraneo ha raggiunto proporzioni bibliche e sembra finalmente aver conquistato a fatica la prima pagina dell’agenda UE. Il flusso di migranti in fuga dall’orrore della guerra a Damasco ha spaventosamente ingrandito il fenomeno, e questa volta l’urto ha colpito proprio tutti. È servita una foto a risvegliare anche le coscienze più (volontariamente) addormentate. La foto del corpicino di Aylan , bimbo siriano fuggito con la famiglia in uno degli innumerevoli disperati viaggi di speranza, spiaggiato immobile sulla costa turca. Quel corpicino è un grido troppo forte e straziante per non essere sentito. E diventa d’improvviso il simbolo di centinaia di altri corpicini inermi e spiaggiati che sono finiti nel dimenticatoio. Mentre l’opinione pubblica italiana si scanna a vicenda puntando il dito sul colpevole, qualcosa nelle istituzioni europee si sta muovendo. Nella conferenza stampa del 7 settembre la Merkel ha parlato della necessità di uno “sforzo nazionale” tedesco di accoglienza. Uno sforzo che con gli anni diventerà più pesante e che il Paese saprà e dovrà affrontare, un’occasione di umanità ma anche di sviluppo economico. Intanto la Cancelliera ha annunciato lo stanziamento di un piano da 6 miliardi di euro per l’emergenza. E se l’Unione sta preparando un nuovissimo piano di distribuzione dei migranti tra paesi membri con quote ben diverse da quelle precedenti, c’è ancora una parte del continente che rimane impassibile ed erige muri (peraltro inefficaci). Tra questi, in pole l’Ungheria di Viktor Orbán, che si ritrova una Budapest completamente in tilt, e un muro spinato che ha più buchi di un colapasta. In risposta alla spinta “umanitaria” tedesca, Inghilterra e Francia studiano anche soluzioni militari: esclusa qualsiasi operazione di terra, nelle ultime settimane ci sono stati voli di ricognizione ed operazioni aeree sparse in Siria su obiettivi dell’Is, ma non hanno avuto molta più fortuna di quelle americane. Francia e Inghilterra di scendere a compromessi con il regime di Bashar El Assad per combattere l’Is non ne hanno alcuna intenzione, ma a molti non piace l’idea di destabilizzare ulteriormente un’area martoriata, in primis la Russia e L’Iran, alleati del dittatore da tempo. E l’ Italia??? L’Italia che da tempo cerca di ruggire contro Bruxelles (riuscendo solo a miagolare) per indirizzare gli occhi dell’ Europa su Lampedusa, può finalmente sentirsi meno sola? Piano ad esultare. Perché il dramma della Siria, purtroppo, non è che una parte di un fenomeno molto più grande. La geografia condanna il nostro Paese alla vocazione della prima accoglienza più di qualunque altro. Ma ad implodere davanti alle coste italiane non c’è la Siria, c’è la Libia. E le centinaia di persone che ogni giorno raggiungono, su un mediterraneo di cadaveri, le coste italiane, non fuggono solo dalla guerra, ma soprattutto dalla fame e dalla povertà, non cercano solo rifugio ma anche lo spiraglio di una vita migliore. E se i siriani accolti in Germania sono in gran parte persone alfabetizzate se non istruite a dovere e quindi potenzialmente una futura risorsa, i migranti che scappano dall’Africa Nera e salvati dalla Guardia Costiera non hanno l’ombra più vaga di un’istruzione ed è molto, molto più difficile integrarli. Queste persone rischiano di diventare un impegno di secondo piano per l’Unione Europea, ma accoglierle non può e non deve essere compito di un solo paese.

Di Francesco Bechis

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