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Dress code: non solo in discoteca

Dress code: non solo in discoteca

Quando una circolare scolastica diventa un monito generazionale. Di Giulia Pezzullo A tutti, più o meno giovani, è capitato almeno una volta di dire:

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Quando una circolare scolastica diventa un monito generazionale.

Di Giulia Pezzullo

A tutti, più o meno giovani, è capitato almeno una volta di dire: “questa generazione non ha senso del pudore né rispetto”. È facile rendersene conto camminando per strada, andando al cinema o al ristorante: i ragazzi e soprattutto le ragazze del nuovo millennio si sentono di certo più disinibiti di quanto non lo sia stata la generazione precedente. Con questo non si vuole fare della banale e masticata critica nei confronti dei nuovi adolescenti; si tratta semplicemente di prendere atto della necessità di mettere qualche freno e imporre alcune regole di buon gusto. Il primo luogo in cui poter avere un riscontro in questo senso è senza dubbio la scuola, laddove i ragazzi si confrontano e cercano l’approvazione del gruppo tramite comportamenti e atteggiamenti spesso non consoni all’ambiente in cui si trovano.
Parte da qui la battaglia della dirigente scolastica del liceo classico Tito Livio di Milano, la professoressa Amanda Ferrario, che tramite una circolare intitolata “Dress code” mette a fuoco il problema del vestiario delle giovani studentesse: canottiere, maglie trasparenti o forate e intimo in vista sono stati messi (giustamente) al bando durante l’orario curricolare.

La preside si rivolge non solo alle sue ragazze ma anche a genitori e insegnanti in modo da dare il giusto esempio per sapere come comportarsi in un ambiente scolastico; infatti, essendo mamma e papà le prime guide che accompagnano un ragazzo nella crescita personale, l’autorità genitoriale dovrebbe mostrare una fermezza tale da far comprendere la necessità di possedere il valore del decoro e del rispetto per se stessi e per l’istituzione scolastica. “Il problema è che le ragazze spesso non si rendono conto che arrivano in classe mezze nude” afferma Amanda Ferrario, aggiungendo poi che “la scuola non è una spiaggia, un pubblico giardino, una piscina né, tantomeno, una discoteca”.
Il riferimento alle sole ragazze, escludendo i maschietti, non è casuale in quanto l’atteggiamento a volte trasandato degli studenti è legato al periodo adolescenziale e, come tale, non è soggetto all’attenzione della dirigente scolastica. Questa posizione potrebbe passare come maschilista e radicata nell’ideologia che la figura femminile debba seguire regole più ferree e comportamenti più pudici; tuttavia, trovo che l’atteggiamento da finte adulte, contornato da cattivo gusto nel vestirti e da poco rispetto per la propria persona e per la fortuna di poter ricevere un’educazione e non una lezione di pole dance, non possa essere paragonato alla trasandatezza adolescenziale che caratterizza alcuni ragazzi. Il problema di questa faccenda, purtroppo, riguarda maggiormente i genitori della nuova generazione: la visione della vita grazie alla quale bisogna essere necessariamente permissivi e amici dei propri figli porta alla mancanza di una linea guida in grado di indirizzare i ragazzi. La professoressa del liceo Tito Livio non sta esprimendo il suo dispiacere nel vedere delle giovani donne privarsi del decoro e del rispetto per loro stesse fregiandosi di essere ragazze popolari e benvolute, bensì sta cercando di svegliare gli animi addormentati di un mondo in cui si cresce spesso e volentieri con esempi devianti. La preside ha fatto suonare la campanella della classe dei valori, sta cercando di insegnare qualcosa e non di tornare indietro nel tempo.

È davvero troppo facile vivere nella speranza che i ragazzi siano sempre ‘grandi abbastanza’; non è sempre possibile delegare a qualche fantasma la responsabilità di incentivare la mente e non la frivolezza e la banalità. Non lasciamo che sia il tempo a dettare un cambiamento radicale nella personalità dei più giovani: riprendiamoci la bellezza di essere fieri delle nuove generazioni.

Di Giulia Pezzullo

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