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Diffamazione sui social: in quali casi si è a rischio condanna

Diffamazione sui social: in quali casi si è a rischio condanna

Troppo spesso capita che persone vengono insultate via Facebook o altre tipi di piattaforme: è reato e si incorre in pene piuttosto gravi. Di Lorenzo

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Troppo spesso capita che persone vengono insultate via Facebook o altre tipi di piattaforme: è reato e si incorre in pene piuttosto gravi.

Di Lorenzo Santucci

Usare i mezzi di comunicazione e soprattutto i social network per esprimere i propri pensieri è diventata abitudine mondiale. A volte, però, le nostre esternazioni non sono volte ad elogiare qualcuno o qualcosa, bensì il contrario. Si inveisce contro un personaggio pubblico per una dichiarazione, si diffama una persona che ci ha fatto un torto e così via. Bisogna però stare molto attenti perchè insultare, anche se non direttamente, può essere considerato come reato per diffamazione e perciò si incorre ad una pena più o meno severa. L’articolo in questione, ovvero il 595 del codice penale, elenca una suddivisione dei reati per diffamazione: infatti si passa dall’offesa dell’altrui reputazione, che prevede una pena di un anno di reclusione o una multa di 1.032 euro, a quello che include la diffamazione attraverso i mezzi di stampa o pubblicitari, che condanna ad una pena che va dai sei mesi ai tre anni di reclusione o di una multa non inferiore ai 516 euro.

Oltre a questi appena citati ne esistono anche altri altri due, che sono quello concerne l’offesa per fatto determinato (due anni di reclusione o 2.065 euro di multa) e quello per diffamazione politica, giuridica od organo collegiale (dove le pene sono aumentate). Come dicevamo, ci sono anche stati dei casi dove la diffamazione è avvenuta tramite social network, quale Facebook ad esempio. Questa è un casistica che può riguardare anche il personale scolastico, in quanto non sono pochi gli studenti che decidono di prendersela con i propri professori sul proprio profilo.

Con la sentenza n. 13604 del 24 Marzo 2014, la Corte di Cassazione ha deciso che l’offesa tramite Facebook dell’onore e della reputazione dell’utente implicano l’obbligo di risarcimento economico per il danno morale, poiché reato. Ma la vera svolta e novità della sentenza è che anche qualora non si facessero nome e cognome della persona a cui è rivolta l’offesa ma è comunque facilmente rintracciabile, colui che compie tale gesto può essere penalmente perseguito. L’esempio dell’avvocato P. Glielmi sulla questione è molto banale ma allo stesso tempo utile per capire meglio: se si creasse un gruppo sul social network intitolato “Quelli che odiano quegli str… dei professori della classe X del liceo Y della città di Z”, anche se non sono stati citati individualmente i professori, quella è una cerchia talmente ristretta che non è difficile capire di chi si vuole parlar male e quindi può ledere la reputazione dell’insegnante.

La procedura per una querela di diffamazione sono di tre mesi dal giorno in cui la persona offesa è venuta a conoscenza del fatto e va comunicata, o verbalmente o per forma scritta, ad un pubblico ministero od un ufficiale di polizia giudiziaria e può essere ritirata in qualsiasi momento. Prima di passare all’atto, però, è consigliabile consultarsi con un avvocato penalista e vedere se quella diffamazione, quel “post” è veramente da considerarsi come reato, soprattutto se si tratta di andare a querelare un minorenne. Infatti, come recita l’art. 9: “Non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto non aveva compiuto quattordici anni”. Chi invece lo può essere è chi aveva compiuto i quattordici anni (ma non ancora i diciotto) ed aveva capacità di intendere e di volere, con pena diminuita. Non conseguono pene accessorie qualora questa sia inferiore ai cinque anni o pecuniaria. Qualora la pena fosse più grave, ne segue un’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e, se lo ritiene la legge, la sospensione della responsabilità da parte dei genitori.

Di Lorenzo Santucci

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