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“Armiamoci e partite”: il paradosso dell’Alternanza

“Armiamoci e partite”: il paradosso dell’Alternanza

Un primo bilancio sull' alternanza: buoni i presupposti, ma ancora troppe le incertezze. Stamattina dovrei interrogare, ma in classe sono presenti in

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Un primo bilancio sull’ alternanza: buoni i presupposti, ma ancora troppe le incertezze.

Stamattina dovrei interrogare, ma in classe sono presenti in dieci: gli altri sono variamente impegnati nei progetti di alternanza, chi in una biblioteca, chi una casa di cura, qualcuno in un istituto culturale, altri in un’emittente radiofonica. Poco male: mi rifarò sui presenti, nove dei quali, però, alzano la mano in simultanea. Wow! nove volontari è il sogno irrealizzato di molti docenti. L’illusione dura poco, perché prendono la parola per giustificarsi: ieri sono stati fino a tardi in una casa editrice per il loro progetto di alternanza.

Spauracchio degli studenti, temuta dalle famiglie, piombata sui docenti come una doccia ghiacciata, l’alternanza ha impegnato buona parte delle energie del mondo della scuola nell’ultimo triennio: sono nate le nuove figure dei docenti tutor, una sorta di manager che coordinano gli alunni e li guidano nei meandri dei vari progetti ma, soprattutto, ne è scaturito un via vai incessante di studenti dentro e fuori scuola. D’altronde, “la vita vera non è sui banchi di scuola”.

Trita da decenni, questa è una delle principali accuse che viene rivolta al nostro sistema scolastico, colpevole di offrire un insegnamento poco pratico, difficilmente spendibile nel mondo del lavoro. Denuncia che colpisce soprattutto l’insegnamento liceale, dove scuola e mercato sembrano due binari paralleli che viaggiano in direzioni opposte.

Questo è lo spirito che ha animato l’innovazione più controversa della legge 107/2015: l’Alternanza Scuola-Lavoro. In pochi mesi le scuole si sono lanciate in una corsa frenetica per organizzare i propri progetti, attivare i contatti con gli enti esterni, gestire centinaia di studenti, senza che la legge fosse particolarmente chiara su molti aspetti.

Tolte le indicazioni sull’obbligatorietà dei percorsi e il monte ore triennale, rimane ancora fumoso l’aspetto della valutazione e non ci sono restrizioni sulla tipologia degli enti:

perciò si potrebbero incontrare studenti del liceo classico che vendono panini all’autogrill, o docenti che, in sede di scrutinio, vorrebbero dare una valutazione alla splendida app realizzata da un loro studente nel suo percorso di alternanza, ma non sanno in quale voce inserirla.

La beffa si sublima quando il Ministero chiede alle scuole di documentare i migliori percorsi di alternanza e descrivere le proprie modalità organizzative, per creare un quaderno di buone pratiche, su cui meglio orientare il sistema nazionale. In pratica, “armiamoci e partite”: noi vi diamo la legge, voi ci spiegate come metterla in pratica e poi la miglioriamo.

E’ sempre positivo quando si inseriscono nel pachidermico sistema dell’istruzione elementi di dinamismo e le scuole smettono di essere monadi autoreferenziali per aprirsi al territorio: nobili, dunque, i presupposti teorici. Risulta arduo tradurli in pratica. Una tale innovazione avrebbe avuto bisogno, in primo luogo, di una fase di sperimentazione su alcune scuole campione, per poi essere uniformata su tutto il territorio.

Ma, soprattutto, l’alternanza ha senso se i progetti sono coerenti con il percorso di studi intrapreso: solo in questo modo può realizzarsi il dialogo auspicato tra scuola e lavoro; altrimenti, rischia di diventare un’attività posticcia, improvvisata, vissuta dagli studenti come uno sterile obbligo, dalle famiglie come una perdita di tempo, dai docenti come un inutile surplus di lavoro, che rischia di fagocitare il lavoro tra i banchi di scuola.

Perché non è vero che tra i banchi non ci si prepara alla vita: la missione della scuola, prima di inserire nuovi elementi nel mondo del lavoro, è quella di forgiare ottimi cittadini e di offrire loro gli strumenti per comprendere, interpretare e analizzare il mondo che li circonda: ho capito, oggi non interrogo, spieghiamo Cicerone…

#FacceCaso

Di Pierluigi Di Clemente

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