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FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo EP di NiCOLA MAROTTA

FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo EP di NiCOLA MAROTTA

Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi è NiCOLA MAROTTA a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo EP. Fuor

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Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi è NiCOLA MAROTTA a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo EP.

Fuori da venerdì 22 settembre con distribuzione Artist First il primo EP del cantautore e produttore NiCOLA MAROTTA. “La notte degli Oscar” è un viaggio attraverso film mentali. È un continuo salto tra le storie che ci accadono e quelle che magari immaginiamo nella nostra testa e, come nella vita reale, a volte le due cose coincidono, altre meno. Ma è tutto quello che serve per far andare avanti una storia, la nostra. I 5 pezzi (o film, se vogliamo) dell’Ep rappresentano una sorta di percorso di auto-analisi, che parte dalla solitudine de “La notte degli Oscar” e passa per gli stadi della speranza (“Estate Indiana”), liberazione (“Incosciente”), innamoramento (“Wembley) e consapevolezza della felicità (“Essere felici”).

Abbiamo fatto una chiacchierata con il cantautore, ovviamente senza lasciarci sfuggire qualcosa sul suo percorso scolastico:

Questo è un sito dedicato agli studenti, quindi non possiamo che iniziare col chiederti qualcosa sul tuo percorso scolastico.
Vengo dal liceo scientifico. Nei miei sogni c’era frequentare Medicina e diventare un medico come mio padre, ma non ho superato i test di ingresso per due anni di fila (una volta per mezzo punto, l’altra per un punto e mezzo). Quindi ho, diciamo anche se è un termine che non mi piace, ripiegato su Biologia. Ho una laurea triennale in Scienze Biologiche e, se la musica non fosse arrivata a tirarmi via dal percorso universitario, probabilmente avrei preso anche la Magistrale (ho lasciato a 5 esami dalla fine per firmare il mio primo contratto).

E che tipo di rapporto hai invece con lo studio della musica? Si può fare musica senza studiarla?
Sono uno che non ha frequentato il conservatorio, né ho fatto corsi sul songwriting o di musica in generale.
Ho imparato a suonare la chitarra da autodidatta, per l’esigenza che avevo di farmi capire nella band per la quale scrivevo i testi e cantavo. Mi è servito molto analizzare le cover e studiarle a modo mio. Anche se mi ha portato, ovviamente, alcune mancanze, era comunque abbastanza per fare quello che volevo, ovvero scrivere canzoni.
Si può fare musica senza studiarla? In base al mio percorso e al modo di fare musica oggi, ti direi “NI”: ovvero, magari senza studiarla nel modo classico, però è necessario essere pienamente consapevoli di come la si sta usando.

Come sono nate le storie che compongono “La Notte degli Oscar”?
Puramente vita. E introspezione, tanta.
La title track è nata in un periodo in cui ero appena uscito da una lunga storia e cercavo di stare sempre in giro, di frequentare gente, feste, però mi accorgevo, tornando nel mio monolocale, che alla fine dovevo sempre fare i conti con me stesso.
“Wembley” è una canzone che ho scritto quasi come sfida verso la mia attuale compagna, quando ci stavamo appena conoscendo. Gliela mandai e mi rispose dopo tre giorni. Però è finita bene, visto che il nostro rapporto 3 anni dopo, ha ispirato “Essere felici”. È venuta fuori dopo una lite, forte ma passeggera, e mi ha fatto pensare all’eventualità che a volte trattenere le cose a cui teniamo di più magari ci rende felice, mentre per l’altra persona, contemporaneamente, la felicità potrebbe trovarla nel lasciare andare.
Con “Estate indiana” volevo creare una specie di mantra per ricordarmi e ricordare a chi ascolta che, nei periodi bui, alla fine qualcosa ci può salvare, sempre. È nata in un momento in cui non mi sentivo pienamente realizzato e sono stato a tanto così da lasciare definitivamente la musica.
“Incosciente”, invece, è nata in mezzo agli aperitivi affollati, al vedere gente che magari è lì perché la convenzione sociale vuole che dobbiamo divertirci ed essere socialmente espansivi, io invece mi annoiavo.

Il fatto di essere autore per altri artisti ti ha aiutato nella definizione della tua identità? In che modo?
L’autorato è stato una grande palestra di scrittura. Quando scrivi quasi una canzone a settimana per tanti anni (quella era la media), capisci in che modo trovare delle chiavi giuste anche per aiutarti a sbloccare delle idee.
Mi ha aiutato tantissimo a fare un’upgrade della mia versione cantautoriale di 10 anni fa, che era molto più acerba. Sicuramente quando scrivi per gli altri tieni tanto a freno il tuo ego. Se lo fai per molto tempo, un po’ lo annulli. È stato il mio caso. Credo che ogni artista abbia bisogno del proprio stile, del proprio linguaggio: per me è stato come entrare in empatia con tante personalità e poi, quando ho ricominciato dal mio progetto, capire cosa tenere e cosa non fosse adatto a me.

Che consiglio daresti a un giovane che vorrebbe vivere di musica nel 2023?
Di non avere fretta, ma trovare il tempismo giusto. Di guardarsi intorno, ma non aver paura di prendere una strada più isolata.

#FacceCaso

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