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Nessuna scuola speciale per ragazzi non vedenti

Nessuna scuola speciale per ragazzi non vedenti

Mario Barbuto, presidente dell'UICI, sostiene come non sia necessario una scuola creata appositamente per persone con gravi disabilità. Di Lorenzo San

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Mario Barbuto, presidente dell’UICI, sostiene come non sia necessario una scuola creata appositamente per persone con gravi disabilità.

Di Lorenzo Santucci

Alla fine dell’anno precedente, a Padova, era stata idealizzata una scuola adibita al il compito di insegnare ai bambini non vedenti le regole dell’integrazione. Un percorso dalla durata di tre anni circa dove, alla fine di questo, il bambino sarebbe stato pronto ad entrare in una scuola “normale”. Un’idea che suscitò non poche polemiche: andare a creare un istituto del genere poteva sì aiutare sotto il profilo dell’integrazione del ragazzo, ma di certo non era la soluzione migliore.

Proprio in merito a tale argomento, ha parlato il presidente dell’UICI (Unione Ciechi e Ipovedenti) Mario Barbuto, il quale ha tento a precisare come non ci debbano essere queste scuole speciali per i ragazzi non vedenti. Il presidente non ha mancato di lanciare anche delle dure frecciate a chi, come in quel di Padova, voleva che questi ragazzi fossero indottrinati come dei soldati per poi andare in una scuola comune, definendoli come degli stregoni che cercano la soluzione più comoda per risolvere un problema che va preso di petto. L’idea, invece, è quella di far partecipare tutti i ragazzi, indifferentemente dalla loro condizione fisica, alla scuola pubblica comune. “La via da seguire”, prosegue Barbuto “è quella di trattare tutti con i principi fondamentali dell’uguaglianza e della libertà”. Fare l’insegnante non è un lavoro facile: sarebbe bello istruire e crescere ragazzi che sono perfetti, anche se la perfezione non fa parte di questo mondo.

Un Bravo professore è anche colui che sa gestire situazioni difficili, come può essere quella di far capire a dei bambini che siamo tutti uguali, che tutti alla fine abbiamo le nostre problematiche, chi visibili e chi no. Certo, sarà un processo lungo e tortuoso, su questo non c’è dubbio, ma è l’unica soluzione. Inoltre, verranno garantite dei supporti alle pubbliche istituzioni che avranno il duro compito di badare all’integrazione e all’inclusione. Non saranno lasciati soli. “Non serviranno delle patenti o delle abilitazioni ai bambini di sei anni”. E’ una strada difficile, lunga ma doverosa da seguire. L’integrazione è, oggi più che mai, una delle tematiche più discusse ed è lecito affrontare questioni tipo queste con i piedi di piombo. Certo, queste scuole “speciali” non si sa quanto possano aiutare l’individuo ad integrarsi e gli altri a farlo integrare: far capire ad un bambino che prima di essere inserito in un contesto sociale comune deve seguire un percorso di integrazione può renderlo anche più a disagio, non scordiamocelo.

Di Lorenzo Santucci

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