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Alunna esclusa dalla gita perché ha scelto di non fare religione

Alunna esclusa dalla gita perché ha scelto di non fare religione

Al centro della bufera l'istituto onnicomprensivo Fabrizio De Andrè: quella che è stata definita come una la procedura ha previsto l'esclusione di una

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Al centro della bufera l’istituto onnicomprensivo Fabrizio De Andrè: quella che è stata definita come una la procedura ha previsto l’esclusione di una sola studentessa in tutta la classe dalla gita presso il villaggio-museo africano di Bergamo.

Di Irene Tinero

Quanti di noi sono stati tentati o hanno scelto consapevolmente di non fare religione? Tutti. Chi è caduto preda dei sensi di colpa e ha scelto per l’insegnamento, o ha volontariamente boicottato la lezione o partecipava, attivo e felice, all’atmosfera ludica che si scatenava in quella lunga ricreazione di un’ora. Però nessuno di noi per questo è stato escluso o ha visto allontanato un compagno, da un evento riguardante la classe. A quanto pare a Peschiera Borromeo (MI) questa “è normale procedura”. La gita in questione, presso il villaggio africano, è stata organizzata dalla docente di religione: tutti partivano per un giorno intero mentre una sola bambina sarebbe dovuta rimanere a scuola. A denunciare il fatto è stata Alessandra Fabbri, madre della povera incriminata, che presso l’istituto frequenta la prima media. La signora Fabbri non si è limitata a denunciare, ma ha anche raccolto firme a sostegno della sua causa, presentate poi alla Preside e al Consiglio d’Istituto: non è stato possibile trovare una soluzione prima della gita ed ora il Consiglio si riunirà nuovamente non prima di giugno, a scuola finita. È giusto precisare che un incontro c’è stato, ma una sola volta non è stata sufficiente per deliberare in merito. D’altronde stiamo parlando di una questione di vita o di morte.

La giustificazione della Preside è stata che la visita nasce da un’idea della docente di religione e che veniva posta a chiusura di un ciclo di lezioni fatte in classe. Specifico che la gita riguardava i missionari passionisti, istituto religioso maschile (abituati alla discriminazione quindi), attivi in Kenya e Tanzania, estremi sostenitori della predicazione e in virtù di questo non penso gli sarebbe dispiaciuto parlare ad un’anima pia in più. Siamo seri ragazzi, chi ha mai fatto lezione durante l’ora di religione? E soprattutto chi è arrivato a parlare dei monaci passionisti?
Si è creata una polemica simile da sollevare addirittura le coscienze della politica. “La scuola è prima di tutto inclusione” ha detto la deputata PD della commissione cultura, Simona Malpezzi. Anche dagli ambienti cattolici, divisi tra “sorpresa e dispiacere”, qualcuno ha voluto dire la propria: “è normale che se una gita è stata organizzata all’interno di un corso vi va chi lo ha frequentato ed è stato formato e non vi è alcun intento discriminatorio”. Che sia benedetta la misericordia cristiana!

Sul sito del villaggio, alla voce “scuole secondarie”, si parla di “unità didattiche di storia, geografia, cittadinanza e costituzione, arte e immagine, musica, IRC (Insegnamento Religione Cattolica)”. Ho citato esattamente nello stesso ordine in cui compaiono sul sito ufficiale. Quindi la bambina non frequenta un corso su cinque. Precisiamo che la religione è un insegnamento facoltativo: chissà se quando i genitori hanno firmato “la condanna”, qualcuno li ha informati che la figlia sarebbe stata esclusa da alcune gite? Sul sito si legge di “progetti di accoglienza”, al fine di creare un contesto emotivo e relazionale coinvolgente e per permettere ai docenti di osservare tutti gli alunni.

Non serve dire altro: ci auguriamo solo che la denuncia della madre non contribuisca ad aumentare la discriminazione in cui la scuola ha rilegato la bambina.

Di Irene Tinero

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