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La storia di un giornalista francese che si è infiltrato in una cellula di giovani jihadisti

La storia di un giornalista francese che si è infiltrato in una cellula di giovani jihadisti

Infiltrarsi nell’ala più estrema dell’Islam, formarsi con i giovanissimi “soldati di Allah” e riportare tutto in un documentario reale. Questo è ciò c

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Infiltrarsi nell’ala più estrema dell’Islam, formarsi con i giovanissimi “soldati di Allah” e riportare tutto in un documentario reale. Questo è ciò che ha fatto Said Ramzi, questo ciò che ne è uscito.

Di Silvia Carletti

Ramzi è un giornalista francese di fede islamica, il cui nome è soltanto uno pseudonimo per proteggere la sua identità. Vivendo in Francia durante questi anni di terrore puro, ha avvertito e vissuto sulla sua pelle l’incubo del terrorismo e la tensione dei rapporti sociali che contraddistinguono la sua nazione. Come lui stesso ha raccontato, spesso in metro “sentiva su di sé gli sguardi preoccupati dei passeggeri”, in giro per le strade veniva a volte fermato e controllato a causa della sua fede e dei suoi tratti somatici.

Così ha voluto studiare più da vicino questo fenomeno e ha deciso di infiltrarsi in una frangia giovanile reclutata dai jihadisti, dove sotto presidio del ventenne Oussama si formano moltissimi ragazzi francesi musulmani che aspirano a diventare come lui, un terrorista vero e proprio pronto a divenire martire sacrificandosi per la propria fede.

Oussama ha già provato diverse volte a raggiungere la Siria, e per cinque mesi è stato detenuto in carcere perché suo padre (musulmano ma assolutamente moderato) ha denunciato la sua radicalizzazione. Uscito dalla prigione, egli ha costituito una sorta di milizia che ha chiamato “Soldati di Allah”, stesso nome che il giornalista francese infiltrato ha deciso di dare al suo documentario. Il prodotto di questo delicato esperimento è stato un cortometraggio intenso e assolutamente crudo: grazie alle telecamere nascoste, Said ha registrato tutto ciò che lo circondava, dalle comunicazioni online agli incontri in moschea, e il quadro che è emerso è quello di una comunità di “lost, frustrated, suicidal, easily manipulated youths”, ossia di ragazzi frustrati, persi, facili da manipolare perché deboli e accecati dalla rabbia.

La loro brama per qualcosa di “superiore”, raggiungibile soltanto attraverso atti omicidi e stragi di massa, li spinge a seguire il cammino dell’Isis perché in esso vedono un modo di affermarsi, di ottenere potere e privilegi che non hanno mai avuto. Forse il loro punto debole, ciò che li ha resi così pericolosi, è stato quello di essere una generazione di giovani ambiziosi, troppo ambiziosi, che l’Isis ha attirato e cresciuto, dando loro la protezione e le sicurezze che cercavano. Eppure, il loro modo di organizzarsi è più facile e immediato di quanto crediamo. I reparti comunicano online e organizzano i propri incontri attraverso piattaforme come Telegram, Twittano le loro bravate, postano in continuazione su Facebook annunci di reclutamenti e foto dei militanti.

Infatti Said è entrato in contatto con il gruppo attraverso il social di Zuckerberg, poi invitato a spostarsi su Telegram perché “più sicuro” e infine è avvenuto l’incontro, che ha consolidato la fiducia tra lui e gli altri militanti. Nel documentario si racconta anche del rapporto con il Califfato intrapreso da Oussama, tanto da cominciare a progettare degli attacchi appoggiandosi a questa nuova unità, anche soltanto per “testare” la sua efficienza. Hanno discusso sull’abbattimento di un aereo in volo, di una base militare, o di un colpo notturno ad un night club, ma man mano molti componenti dell’unità sono stati arrestati e Ramzi, uno dei pochi rimasto libero insieme ad Oussama, ha deciso di concludere il suo servizio.

Sei mesi trascorsi al limite della vita, tra verità e rischi, necessario per capire cosa passa nella mente della gioventù jihadista, utile per capire dove l’Occidente sbaglia. Il reportage in Italia è andato in onda domenica scorsa su iniziativa di SkyTg24, mentre in questi giorni sarà disponibile anche su Sky On Demand.

Di Silvia Carletti

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