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Università italiana: tremila cervelli in fuga all’anno

Università italiana: tremila cervelli in fuga all’anno

Gran Bretagna, Usa, Francia, Germania, Nepal.. insomma, per i ricercatori italiani qualunque paese sembra essere meglio del nostro. #FacceCaso. Dei ci

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Gran Bretagna, Usa, Francia, Germania, Nepal.. insomma, per i ricercatori italiani qualunque paese sembra essere meglio del nostro. #FacceCaso.

Dei circa 11mila dottori che ogni anno conseguono la laurea, tremila se ne vanno all’estero. Ad abbandonare la nave sono soprattutto i laureati in Scienze Fisiche (31,5%), Matematica o Informatica (22,4%9).

“Le nostre università assumono con il contagocce e i posti sono riservati a gente che è in lista da anni, tendenzialmente allievi dei professori – dice Michele Trabocchi, docente di diritto del lavoro a Modena – “una tradizione che nella sua accezione più nobile premia i migliori delle varie Scuole. Ma che ha portato a una forte degenerazione del sistema. In Danimarca, Svezia, Giappone, Stati Uniti, non si premia la fedeltà dell’allievo, ma c’è un affettiva competizione meritocratica”.



Tiraboschi ha lavorato a una proposta di legge per creare un mercato della ricerca privato, che dia riconoscimento ufficiale ai ricercatori nelle aziende: “Ci allineerebbe alla tendenza europea e consentirebbe di far fronte alle esigenze di crescita e sviluppo del Paese”. 

Volete sapere perché i nostri ricercatori se ne vanno? A decidere chi fa carriera a livello universitario, da noi sono burocrazia e baronie. Il mercato del lavoro nazionale “non riesce a valorizzare appieno il peroroso formativo e il potenziale professionale dei dottori”, conferma Almalaurea. Le mete preferite dai nostri cervelli in fuga, stando alle statistiche, sono Gran Bretagna (16,3%), USA (15,7%), Francia (14,2%), Germania (11,4%9), Svizzera (8,9%). C’è chi addirittura decide di scappare in Nepal, Cina o Finlandia.

“Il Paese – conclude il docente – sta rinunciando a qualcosa che sa fare bene, e che è più che mao essenziale per la crescita di un’economia avanzata”. #FacceCaso.

Di Francesca Romana Veriani

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