Per diventare professore universitario non basta essere svegli e preparati, a quanto pare c’è bisogno di un legame di parentela. #FacceCaso. Perché un
Per diventare professore universitario non basta essere svegli e preparati, a quanto pare c’è bisogno di un legame di parentela. #FacceCaso.
Perché un giovane bravo e con tanta voglia di fare dovrebbe restare in Italia avendo l’opportunità di insegnare all’estero, se sa già che il concorso da queste parti è truccato?
Sto parlando della parentopoli universitaria, la stessa che 10 anni fa era stata denunciata da un dossier sulla scuola universitaria di alta formazione europea Jean Monnet di Caserta dove si raccontava che “frequenti rapporti di parentela, affinità o coniugio legano nel 50% dei casi il corpo docente (82 persone) con personalità del mondo politico, forense o accademico”.
Il tempo passa ma la storia resta sempre la stessa.
Al convegno dei responsabili amministrativi degli atenei, Cantone racconta che al Sud “è stata istituita una cattedra di Storia greca in una facoltà giuridica e una cattedra di Istituzioni di diritto pubblico in una facoltà letteraria” e che i titolari erano “i figli di due professori delle altre università”. Un caso? Non credo proprio.
Non è un caso nemmeno che Roberto Perotti, nel saggio “L’univesrità truccata” abbia contato ben 42 parenti su 176 docenti di Economia nell’università di Bari. Mariastella Gelmini con la sua legge ci ha provato, il divieto aveva proprio l’obiettivo di ripulire i concorsi.. ma in un Paese civile, degno di essere chiamato tale, di una norma del genere non ci sarebbe mai stato bisogno. “Ho detto che è un paradosso che ci debba essere una legge che stabilisce un divieto che dovrebbe essere scontato” confessa Cantone. Io la penso esattamente come lui. #FacceCaso.
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