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La pazza gioia di essere romanisti

La pazza gioia di essere romanisti

Il risultato di ieri è la catarsi sportiva, passionale e persino fisica di un popolo che si identifica con due colori e un simbolo. Toccare un punto a

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Il risultato di ieri è la catarsi sportiva, passionale e persino fisica di un popolo che si identifica con due colori e un simbolo. Toccare un punto altissimo per noi romanisti scrollarci di dosso tutto il resto.

È una città felice, e non c’è altra fazione sportiva che tenga. Roma oggi è la Roma più che mai, ne esprime la gioia, le emozioni, i batticuori.
Non si è vinto un trofeo, come da molto tempo non accade, ma anche qui sta l’essenza del romanismo. Abbiamo vinto perché abbiamo fatto nostra una partita che ne vale 100.

Una battaglia contro avversari cento volte più quotati e più forti (forse), una battaglia contro i gufi appollaiati, molti dei quali pronti dopo novanta minuti a salire sul carro del vincitore. Una battaglia contro i detrattori e gli sbeffeggiatori di mestiere, ma soprattutto contro la sfiga storica di questa squadra. Era il 24 agosto 2017 quando la Roma venne già data per spacciata, nel giorno dei sorteggi per i gironi, in cui apparvero quali avversari Chelsea e Atletico Madrid. “Paghiamo ancora la crocifissione di Gesù Cristo” il commento più bello circolato sui social.

Come a dire: se deve andare male qualcosa, a noi va mille volte peggio.

E mentre venivano fatti i necrologi la Roma si conquistava una meritatissima qualificazione sul campo. Ma essere romanisti vuol dire convivere tra gioie (poche) e dolori (molti), in una stagione costellata da alcuni bassi in campionato. Ma appunto, in campionato, a raccontare la solita storia del mainagioia.
La Champions League 2017-2018 no, questa volta tale competizione diventa una teca speciale dove la Roma si conferma in una forma internazionale mai vista. E così si arriva ai quarti, ma contro i Blaugrana, che ricordiamo essere primi in Liga con 15 (QUINDICI) punti di distacco dal Real Madrid, dove vuoi andare?

4-1 al Camp Nou, è finita la festa, si torna a vivere i nostri tipici giorni.

Eppure per una volta sola, la prima veramente da quando mi ricordi essere tifoso romanista, la dea bendata si impegna a non romperci le scatole. Accade il miracolo, la “Romantada”, la catarsi della Lupa, il grido covato per 34 anni ed emerso tutto d’un fiato all’Olimpico, nei bar, sui divani di casa, per le strade, a piazza del Popolo, Ponte Milvio, Circo Massimo. È la città stessa a gridare di gioia, ancora più della sua gente.

Perché quando sei il piccolo senza speranze di vittoria di fronte agli adulti, la rabbia la fai trasformare in forza prima e delirio gioioso poi. E allora avoja a di “Non avete vinto nulla, siete solo alla semifinale”, come facciamo a spiegarvelo cosa significhi essere tutt’uno con 90 minuti precisi, con 11 atleti, due colori, un simbolo e una città?

Come ve la spieghiamo la pazza gioia di essere romanisti? Ve la possiamo spiegare con tutte le pesanti sconfitte che abbiamo subito, perché noi, di fronte a queste, non abbiamo mai voltato la testa dall’altra parte. Abbiamo fatto di ogni sconfitta della Roma una nostra sconfitta, grazie al cordone ombelicale che ci lega. E allora oggi, domani e tra una settimana, il 3-0 al Barcellona rimane una nostra vittoria, e nessuno ci può levare il gusto di godere ancora e ancora.

Se poi ancora non volete capire, ve lo spieghiamo con le parole di Totti: “Per me i romani e i romanisti non sono né tifosi né amici. Sono tutti fratelli”. Giù il sipario.

#FacceCaso

Di Umberto Scifoni

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