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La solitudine dei numeri uno

Quando la bandiera viene sbiadita in un calcio sempre più lontano da antichi valori. Di Lorenzo Santucci Arrivi ad un punto della tua carriera che sei

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Quando la bandiera viene sbiadita in un calcio sempre più lontano da antichi valori.

Di Lorenzo Santucci

Arrivi ad un punto della tua carriera che sei costretto a ricordare e, se i ricordi sono tanti, quello è sinonimo di vecchiaia. O maturazione, per non essere scortesi. Il tempo non guarda in faccia a nessuno e questo lo avevamo largamente intuito. Ma quando tocca a te fa male. Fa male guardare indietro. Spaventa terribilmente guardare avanti. Cerchi appigli, sicurezze, giustificazioni e, spesso, ti racconti anche tante bugie. Ti senti ancora in forma ed in grado di dare qualcosa per quella causa che hai sposato tanti anni fa, per quella che molti chiamano divisa ma che traduci in “ideale”. Essere una bandiera non è mai facile. Essere una bandiera prossima all’addio è fortemente difficile. Quando la tua squadra era in difficoltà non hai mai esitato ad essere presente. Ora che lo sei te, ti senti lasciato solo. Ma da chi? Dal popolo? No. Quello ti sarà riconoscente a vita e non ti abbandonerà mai. Ha sposato, tanti anni fa, quella causa come te. Solo che loro stavano fuori, tu dentro. Il calcio è del popolo e così deve restare. Lui sa a chi portare rispetto e riconoscenza, sono i giudici della tua carriera, i tuoi veri presidenti. Sanno distruggerti, rimproverarti, amarti ed accomunarti a Dio. Ma un bel giorno, Dio viene licenziato. E non è De Andrè che canta. No. È la realtà, dura e veritiera, che ti riporta sulla terra e ti ricorda le tue ormai tante primavere. Ti fa svuotare il tuo armadietto e tante care cose. Così. Senza liquidazione.

Alcune volte pretendi proprio quel rispetto e riconoscenza da chi, troppo spesso, dimentica che niente era dovuto. La maggior parte delle volte, invece, taci e non ribatti, come hai sempre fatto da vent’anni a questa parte. Perché una bandiera, un simbolo è un essere silenzioso, umile. Ama senza sosta e non pretende nulla in cambio. Dà e non toglie. Perché tanto, “Amor ch’a nullo amato amar perdona”. Perché la gente, quella che veramente conosce la grandezza del condottiero, lo sa. Allora prende il suo capopopolo per un braccio e lo aiuta a rialzarsi, proprio come ha fatto lui tante volte. Ma si sa, quando sei troppo grande non sei un bene per tutti, anzi cercano di toglierti quella corona che ti hanno messo anni fa e che ora fai fatica a toglierti. Perché non lo vuoi. Perché non sei pronto. Ti senti ancora di lottare per quell’ideale che quotidianamente senti meno tuo e si allontana. O meglio, se così fosse sarebbe naturale. Il problema è che cercano di toglierti il tuo regno. Vogliono un’abdicazione forzata perché tu sei troppo grande per loro, che pensano che se sono i proprietari possono decidere anche il tuo ritiro. No. Quello no. Per favore, lasciateci almeno questo: la passione e la possibilità di celebrare nel giusto modo chi ha dato tutto per noi. Il suo popolo. Il vero proprietario di questo sport. State comprando tutto e siamo diventati passivi davanti ai richiami milionari asiatici, medio orientali e nord americani. Rassegnati ad un’idea di un calcio che non c’è più, ci appigliamo agli ultimi baluardi che, purtroppo, non hanno ricevuto quel che veramente si meritavano. Cigni prossimi al canto che hanno mantenuto l’umiltà e la passione del brutti anatroccoli, consapevoli che, come ogni favola che si rispetti, quel canto è necessario. Ma non deve essere forzato da nessuno, sennò svanisce la magia. È giusto che avvenga. Per noi e per loro. Per ricordarci quanto siamo stati importanti l’uno per l’altro e quanto, sotto altre vesti, dobbiamo darci ancora. Loro permettendo.

Di Lorenzo Santucci

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