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Sesso e caffè

È in procinto di aprire a Ginevra il primo "bar del blow job" europeo: un caffè costa 50 franchi, ma è servito insieme ad un rapporto orale per tutti

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È in procinto di aprire a Ginevra il primo “bar del blow job” europeo: un caffè costa 50 franchi, ma è servito insieme ad un rapporto orale per tutti gli uomini più desiderosi.

Di Irene Tinero

Entri, ti siedi, ordini il caffè scegli la ragazza attraverso un iPad ed il gioco è fatto.
Per iniziare manca solo l’ok da parte della polizia elvetica, del dipartimento della sicurezza e dell’economia, e tutto questo sarà realtà.
L’iniziativa parte dalla vicina Svizzera ma ha già degli esempi in Thailandia, nota metà del turismo sessuale. In questo caso però l’attività è tutt’altro che illegale:

basta registrare il locale come centro massaggi o aderire alla convenzione contro la prostituzione

e lo sfruttamento e iscrivere il proprietario e le ragazze nei registri della polizia. In tal senso è anche una buona occasione per regolarizzare “il mestiere più antico del mondo”.
Inoltre, il progetto poggia su degli studi accreditati:

secondo il portale Lemantin.ch un uomo appagato rende meglio sul posto di lavoro.

Per quanto riguarda le donne, la scienza non ha approfondito e quindi servizi simili riguarderanno il suolo pubblico maschile, per il momento.

Se siete dei benpensanti cattolici superate lo shock iniziale e svisceriamo insieme questo argomento, a partire dalla Thailandia.
Uomini da tutto il mondo si recano in questa lontana terra per soddisfare bisogni repressi sotto il tetto coniugale, il tutto a prezzi modici da un minimo di 16 ad un massimo di 117 euro. Le mete più ambite sono Pattaya e Phunket , ma anche la più nota Bangkok. I bar sono ottimi “centri per la selezione” delle cosidette “Go Go girls”, nome assegnato dai soldati americani durante la guerra in Vietnam: quando lo straniero urla “gogo”, le giovani capiscono di essere le “prescelte”. A meno che non vengano reclutate attraverso una vetrina.

Per quanto in Thailandia la prostituzione sia sufficientemente accettata e tollerata nell’immaginario comune, si tratta pur sempre di un’attività illegale che non sfrutta certo donne consapevoli ma giovani bisognose di un qualche sostentamento.
Perché allora condannare attività che donano una conformità ed una veste legale a tutto questo?

Passando per Svizzera e Thailandia arriviamo nel nostro Bel Paese: Pia Covre, 68 anni, ex prostituta, insieme all’amica e collega, Carla Corso, ha fondato il Comitato per i diritti delle prostitute, nel 1982, il primo ed unico “sindacato” italiano di questo genere. Da oltre 30 anni si battono per l’abrogazione della legge Merlin, attraverso la quale sono state abolite le case chiuse, relegando la prostituzione nella piena criminalità. Vogliono anche veder riconosciuti, a tutta la classe, diritti e doveri: legalizzare la prostituzione significa registrarsi all’Inps, pagare le tasse, sperare di avere una pensione, un giorno, e denunciare qualcuno se ti maltratta- spiega Pia.
La legge oggi punisce per il reato di sfruttamento e favoreggiamento e presenta il decreto Visco-Bersani, che prevede la possibilità di dichiarare redditi di un’attività illegale (#FacceCaso):

tuttavia se hai scelto di prostituirti e vuoi aprire una partita iva, l’Agenzia delle Entrate si rifiuta.

Se sarai colta in flagrante, allora ti sarà imposto tutto ciò.

Italia ci sono 9 milioni di clienti, 70 mila prostitute, di cui il 60% lavora ormai dentro le proprie case e tutto questo , se regolamentato, frutterebbe un giro d’affari hdi 5 miliardi di euro.

Anche prostituirsi può essere una scelta, come lo è porre, o meno, fine ai soprusi e alle violenze riservate a tutte quelle donne a cui questo destino viene imposto.
Più leggi e meno perbenismo.

Di Irene Tinero

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