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Flessibilità in uscita: quanti rischi

Flessibilità in uscita: quanti rischi

Il problema della disoccupazione, quella giovanile in primis, è un problema concreto che ci attanaglia e che va risolto con politiche serie. Una delle

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Il problema della disoccupazione, quella giovanile in primis, è un problema concreto che ci attanaglia e che va risolto con politiche serie.

Una delle piaghe più gravi che il nostro Paese è chiamato a risolvere riguarda senza dubbio quella della disoccupazione. Dal 2008, anno di inizio della crisi economica, avere un posto di lavoro (anche non fisso) è diventato un lusso che non tutti si possono permettere e l’ultima stima effettuati ci parla dell’11,7% di disoccupazione attuale. Per non parlare poi di quella giovanile. Questo cambio generazionale, di cui tanto parliamo ma del quale ancora non si vede un vero risvolto significativo, è una questione aperta e spinosa (come potrebbe non esserlo essendo arrivata a più del 37%). Uno pensa che sostituendo l’anziano con il giovane si crea posto di lavoro ma questa è mera illusione. Anzi, a dirla tutta non si fa altro che peggiorare la situazione in quanto ci sarebbero molti più pensionati da mantenere e faremmo entrare i nostri giovani in una società fragile.
Tito Boeri, presidente dell’INPS, ha presentato un progetto di flessibilità in uscita, che farebbe decidere al lavoratore quando andare in pensione, in maniera del tutto neutrale (ovvero al sistema deve costare allo stesso modo sia se decide di andare in pensione un anno prima sia se andarci un anno dopo, per non andare a modificare l’equilibrio del sistema finanziario delle pensioni). La proposta di Boeri, il quale ha sostenuto che ciò permetterebbe di non far lavorare i giovani fino ad un’età molto avanzata per accumulare contributi pensionistici oltre che garantire quel ricambio generazionale tanto discusso, potrebbe però avere delle lacune su alcuni aspetti che posso essere definiti come ideologici: qui si dà carta bianca ad un lavoratore di smettere quando meglio crede. Ciò comporterebbe due questioni, come sostiene molto lucidamente Luigi Guiso del Sole 24 Ore, una positiva ed una negativa: la prima, che vedrebbe il lavoratore decidere di smettere con la propria attività perché magari non trova più gli stimoli necessari, gioverebbe anche all’azienda, che si “libera” (nel senso più positivo possibile) di un dipendente che potrebbe garantire meno di un altro; la seconda, di conseguenza, presumerebbe che in pieno tempo di crisi una persona si andrebbe a privare del proprio lavoro. Insomma, non proprio un qualcosa di scontato ecco.

Questa uscita flessibile è una manovra molto rischiosa per ciò che ho provato a spiegarvi sopra. C’è solo una certezza: limitare questa emorragia che vede i noi giovani disoccupati essere davanti solo a Grecia e Spagna e risalire economicamente. Ma vedendo le misure adottate finora…

Di Lorenzo Santucci

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