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Dimmi che immagine hai (su Twitter) e ti dirò chi sei

Dimmi che immagine hai (su Twitter) e ti dirò chi sei

Dalla Germania lo studio che ci legge dentro. Arriva da Colonia, in Germania, l’uccellino che sembra svelarci le varie personalità degli utenti attrav

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Dalla Germania lo studio che ci legge dentro.

Arriva da Colonia, in Germania, l’uccellino che sembra svelarci le varie personalità degli utenti attraverso la scelta della propria immagine su Twitter.
Durante la Conferenza Internazionale sul Web e sui Social Media un gruppo di ricercatori coordinati dall’esperto Daniel Preotiuc-Pietro, professore all’università della Pennsylvania a Philadelphia, ha illustrato come l’immagine personale del proprio account Twitter possa rivelarsi un indice importante per la comprensione del profilo dell’utente.
Per arrivare ad un risultato che fosse esauriente, il Prof. Preotiuc-Pietro e la sua troupe, si sono mossi su diverse strade che vanno dall’impiego dei tradizionali test psicologici con

l’obbiettivo di classificare gli individui secondo i “Big Five”, cinque dimensioni comprendenti: estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-negligenza, stabilità emotiva-nevrotismo e apertura mentale-chiusura mentale, all’analisi degli ultimi 3200 tweet e delle relative immagini di account dei vari partecipanti all’esperimento.

Ciò che è emerso dal loro studio è che, spesso, immagini e profili personali vanno di pari passo , persone estroverse tenderanno a scegliere immagini artistiche e di comunicazione al contrario i nevrotici tenderanno ad oscurare il proprio volto.
Secondo il Professore gli utenti dei social tendono a vedere nel proprio avatar la trasposizione della loro personalità nel mondo del web, e questo tipo di analisi permetterebbe un approccio più “soft” nelle valutazioni psicologiche: “Si osserva direttamente il comportamento delle persone piuttosto che chiedere loro di parlarne”.

Resta ancora in dubbio l’efficacia di questo cinguettio, che ha dalla sua una potenzialità confermata dagli esperti, che ancora però non sembrano affatto voler mettere all’angolo i tradizionali test psicologici.

Di Giulio Rinaldi

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