Tempo di lettura: 2 Minuti

Intervista a due giovani che sono partiti per un’esperienza di volontariato con Libera

Intervista a due giovani che sono partiti per un’esperienza di volontariato con Libera

Un'intervista per raccontare cosa un'esperienza con Libera lascia davvero nella memoria dei giovani. Raffaella e Matteo sono due cari amici che in mo

Boom di richieste per studiare un anno all’estero: il Covid non frena gli studenti
Immaginate una scuola senza voti… che sogno! L’esperimento in un liceo di Cesena
Il grande problema dell’abbandono scolastico in Italia: siamo indietro rispetto all’UE

Un’intervista per raccontare cosa un’esperienza con Libera lascia davvero nella memoria dei giovani.

Raffaella e Matteo sono due cari amici che in momenti diversi della loro vita e per motivazioni diverse, sono partiti per un campo di volontariato con Libera. Li ho intervistati per scoprire di più sulle loro esperienze con Libera, e magari per convincere i giovani a prenderne parte.

Ecco cosa mi hanno raccontato…

Come hai scoperto libera?

Raffaella: “Ho deciso di partire con Libera perché era una delle esperienze che mi proponeva l’università e che mi permetteva di acquisire i crediti formativi CFU. Quindi l’ho scoperta attraverso il portale VolontariaMente della LUISS.”

Matteo: “Io sono partito con Libera per due anni di fila parecchi anni fa, nel 2012 e nel 2013. Ho scoperto Libera perché dei ragazzi ne vennero a parlare nel mio liceo e mi convinsero a provare questa esperienza.”

Raccontami brevemente la tua esperienza

Raffaella: “Sono partita con un gruppo di 14 ragazzi e ragazze, tutti più o meno miei coetanei. Sin dal primo momento ho capito che sarebbe stata un’esperienza pesante dal punto di vista emotivo. Infatti alloggiavamo a San Giuseppe Jato, nella casa di campagna di Giovanni Brusca, il mafioso che ha ucciso Paolo Borsellino e responsabile della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, casa che è stata confiscata alla mafia e adibita alle esperienze di volontariato.”

Matteo: “Per me è stata un’esperienza così e bella e importante che decisi di ripeterla per due anni consecutivi. Eravamo 40 tra ragazzi e ragazze provenienti da luoghi diversi e soggiornavamo tutti nella stessa casa a Corleone in cui risiede la Cooperativa Lavoro e Non Solo; si chiama “Casa Caponnetto”, dal nome del giudice antimafia, prima apparteneva alla famiglia Grizzati, nipoti di Totò Riina, il boss di Cosa Nostra. Io avevo 16 anni e grazie a quell’esperienza ho avuto la possibilità di apprendere i valori del lavoro di squadra, sono diventato consapevole del fatto che in ogni un gruppo ogni tassello è importante e indispensabile. Ho imparato ad apprezzare anche l’idea stessa del volontariato perché mi sono sentito appagato e felice nell’aiutare le persone che gestiscono la cooperativa.

Che attività facevi?

Raffaella: “Dovevamo andare a coltivare le vigne di Nero d’Avola, ma siccome sono capitata nella settimana dell’anniversario della Strage di Via d’Amelio, dove è morto Paolo Borsellino nel luglio del 1992, le attività si sono concentrate maggiormente in incontri con i parenti di vittime di mafia.”

Matteo: “La mattina appena svegli ci si divideva in due gruppi, uno dei quali rimaneva a casa per pulire, sistemare e aiutare nella preparazione del pranzo. Nel frattempo l’altro gruppo si recava nei campi per coltivare i prodotti di stagione: toglievamo i pomodori marci, irrigavamo le viti ecc… Dopo il pranzo tutti assieme, nel pomeriggio le attività erano di tipo culturale. Per esempio, incontravamo testimoni legati alla lotta alla mafia. La sera, dopo cena, c’era la possibilità di uscire un po’, ma in realtà eravamo sempre molto stanchi.”

L’episodio più toccante della tua esperienza con Libera?

Raffaella: “In realtà ciò che mi ha colpito di più sono due storie. La prima è quella di Vincenzo Agostino e Augusta Schiera, due signori hanno lottato per 28 anni e continuano a farlo per cercare di scoprire la verità sulla morte del figlio Nino Agostino, ucciso dalla mafia insieme alla moglie incinta il 5 agosto 1989.

Il secondo episodio riguarda l’uccisione del bambino Giuseppe Di Matteo, da parte di Giovanni Brusca e altri due scagnozzi, per rivendicare il fatto che suo padre, Santino Di Matteo mafioso che ha deciso di collaborare con la giustizia, avesse raccontato alle autorità i reati commessi dalla mafia in cambio di uno sconto di pena. La mafia però si vendicò uccidendo il piccolo Giuseppe sciogliendolo nell’acido e spargendone i liquidi nella campagna lì vicino. Il silenzio di quel posto era assordante. Dopo aver ascoltato questa storia straziante i nostri responsabili Chiara Cannella e Francesco Citarda, ci hanno portati nello scantinato dove era stato rinchiuso il bambino prima di essere ucciso, lì ci hanno letto una lettera nella quale uno dei responsabili dell’atto dopo essersi pentito raccontava nei minimi dettagli come si era svolta l’uccisione. La cosa che mi ha colpito di più nella lettera è stata la leggerezza con la quale il mafioso raccontava dell’omicidio del piccolo.

Matteo: “Mi sono particolarmente commosso quando siamo stati a visitare sede di Radio Aut a Cinisi, la radio di Peppino Impastato. Si trattava di una Radio che faceva informazione contro La mafia in quel territorio. È stato emozionante vedere dal vivo quei luoghi che in apparenza possono sembrare posti come ma altri ma che in realtà sono stati il teatro di importanti avvenimenti che hanno stravolto storia della Sicilia e del nostro paese.”

Nel complesso cosa ti ha lasciato l’esperienza con Libera?

Raffaella: “Mi ha arricchita molto, perché ho potuto toccare con mano una realtà che mi era sconosciuta. Un conto è sentire delle storie e vederle in tv, un conto è essere lì e ascoltare le voci dei parenti delle vittime che ancora si emozionano nel parlarne.”

Matteo: “Senza dubbio mi ha lasciato dei ricordi di momenti bellissimi, ma anche tanta fatica e tanta soddisfazione. Di sicuro il fatto di essere sempre partito completamente da solo senza conoscere nessuno, mi ha arricchito ancora di più interiormente perché ho imparato ad adattarmi e immergermi in situazioni a cui non ero abituato.”

La consiglieresti?

Raffaella: “Sì, assolutamente, è un’esperienza che cambia il modo di vivere e di vedere le cose; ti insegna tanto dal punto di vista umano. È un’esperienza che per quanto breve non risuscitò mai a cancellare dalla mia memoria e, in futuro mi piacerebbe impegnarmi e lottare per la giustizia contro la mafia e contro la criminalità organizzata in generale, con memoria e impegno. Memoria e impegno sono state le parole filo conduttore della nostra esperienza lì a San Giuseppe Jato.”

Matteo: “Dipende dalla persona che mi trovo davanti e dallo spirito con cui la persona prende l’esperienza. Non si tratta di una vacanza, e per godersi l’esperienza al 100% è necessario che la si voglia davvero fare. Perciò la consiglio a tutti coloro che sono ben motivati e consapevoli di ciò che si troveranno davanti.”

Grazie a Raffaella e Matteo per la disponibilità!

#FacceCaso

Di Chiara Zane

COMMENTS

WORDPRESS: 0
DISQUS: 0