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Lucrezio Caro, la sottile linea tra autogestione e occupazione

Lucrezio Caro, la sottile linea tra autogestione e occupazione

Al Lucrezio Caro ne stanno succedendo di cose belle. Ma anche difficili. Abbiamo parlato con uno dei rappresentanti, Cecilia Castaldo. Ecco come stann

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Al Lucrezio Caro ne stanno succedendo di cose belle. Ma anche difficili. Abbiamo parlato con uno dei rappresentanti, Cecilia Castaldo. Ecco come stanno le cose veramente.

Lucrezio Caro 2018. Ne stanno succedendo un po’. Un’autogestione ben fatta che sfocia in altro. Ma che cosa? FacceCaso è la realtà a cui non piace parlare “per sentito dire”. A noi piace sentire la voce di chi è sul posto. Davvero. E allora ho chiesto ad uno dei rappresentanti, Cecilia Castaldo, di raccontarmi come sono andate davvero le cose. Ecco cosa mi ha detto:

 

Ciò che davvero mi sento di dire è che l’autogestione al Lucrezio Caro non è stata un contentino, ma un regalo. Chi la disdegna non ha la più pallida idea di cosa significhi. Vuol dire concedere agli studenti lo spazio che normalmente è controllato da docenti, personale ata ecc (la cui responsabilità è della preside e della scuola) e lasciarlo in mano agli studenti benché la responsabilità resti comunque della scuola. Accettare l’autogestione significa guardarsi in faccia e dirsi se siamo o no in grado di mostrare tutta la nostra maturità, la partecipazione attiva e l’impegno.

Foto di Martina Spavone

 

Oggi è stato fatto davvero qualcosa d’impatto: sono stati organizzati una quindicina di corsi su tematiche sociali (domani saranno culturali e venerdi artistiche, ci saranno quattro raccolte di beni da devolvere a quattro differenti associazioni) e gli studenti sono stati perfettamente in grado di gestirsi. Mentre continuare l’occupazione sarebbe stata sì una dimostrazione di ostinazione, ma anche un irrazionale gesto di orgoglio poco coerente con le idee iniziali, accettare l’autogestione dai più ciechi potrà esser letto come un atto di sottomissione, ma è stato tutto il contrario.

È stato agire con razionalità, coerenza e con l’intento di lasciare un messaggio conforme alla intenzioni, che sono state, sono e saranno alla base di questa autogestione che non è altro che il frutto dell’occupazione, (questo è importante che si sappia) un’occupazione che, però, ha saputo riconoscere gli evidenti limiti (se non l’avesse fatto sarebbe stata cieca e sorda) e confrontarsi con la realtà rispettando la sua stessa natura: sconvolgere, stravolgere, mostrare che siamo attivi, che sappiamo coinvolgere e lasciarci coinvolgere, che siamo animati da curiosità, desiderio e interesse, che abbiamo voglia di condividere questo interesse. Sentivamo mancasse il dialogo nella scuola. L’abbiamo generato. Abbiamo iniziato a parlare fra noi studenti ottenendo riscontri positivi, alcuni docenti hanno dato un riscontro iperpositivo della giornata di oggi. (Cosa che portando avanti l’occupazione sarebbe mancata) L’unica che invece non ha compreso il messaggio è la preside, che oggi ha mandato una mail ai genitori degli studenti minorenni per consigliare di tenere i figli a casa (contraddicendosi e andando contro se stessa con un gesto a parer mio folle).

E dunque abbiamo ottenuto quello che volevamo: stimolare e protestare. Con l’occupazione l’ordine era protestare e stimolare, con questa autogestione è stimolare e ora protestare, ma protestare con la testa, mostrando quello che siamo: persone attive che hanno voglia di confrontarsi. Quella di oggi per me è stata una conquista, spero che continui così e spero che finiscano queste spaccature nella scuola. Era essenziale e necessario agire in questo modo, agire diversamente avrebbe significato sbagliare. Aggiungo però che anche io sono stata delusa dalla noncuranza dei molti: tutti a rivendicare qualcosa che non conoscono, questo sia da una parte che dall’altra. L’autogestione non era neppure conosciuta come forma perché da molti anni non veniva applicata, chi la critica non sa cosa sia, definisce “contentino” qualcosa che invece è enorme, è una gigantesca elargizione. E io sono stata attaccata per non aver portato fino alla fine qualcosa.

Ebbene, non avremmo potuto fare altrimenti, nonostante io avessi rimesso la mia decisione agli altri. Io, bocciata l’autogestione in votazione ho parlato con l’unica persona con cui dovevo parlare (Luca il mio co-rappresentante che sapeva la mia opinione fin dall’inizio e mi ha sempre capita, compresa, aiutata) donandogli tutto ciò che avevamo organizzato. Certamente se l’occupazione è saltata non è a causa mia, ma a causa della comodità. Oggi io voglio essere disturbante e sembrare matta a tutti: io sono contenta e soddisfatta. C’è però una malsana tendenza ad avere la mente ottenebrata da pregiudizi che non fanno analizzare le circostanze. In ogni azione della preside veniva visto del nascosto, del subdolo, dei piani segreti e promesse non mantenute, in ogni azione dei professori anche e anche negli studenti. Questo clima mi ha oppresso, è diventato tutto pesante, ha creato spaccature e divisioni.

Foto di Martina Spavone

Ultima cosa che dico: le motivazioni dell’occupazione non erano solo Er Faina, Baobab o le assemblee. C’era la richiesta di maggior dialogo fra studenti docenti e preside: abbiamo visto una difficoltà in questo da parte di tutti e tre, questo distacco è emblematicamente e simbolicamente rappresentata dalla inefficienza di un organo consultivo quale la Consulta Provinciale degli studenti, che non ha un luogo in cui riunirsi. Oltre ciò l’esame di maturità ancor poco chiaro a dicembre. Doveva essere una lamentela verso ciò che tenta di appiattire senza valorizzare. Oltre a tutti i motivi interni. Io non ho condiviso da subito la modalità dell’occupazione. Ho organizzato il resto e adesso lo sto portando avanti con la autogestione.

Questa è la verità. BellaStoria al Lucrezio Caro.

#FacceCaso

Di _Riccardo Zianna_

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