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Calcio e Coronavirus, un matrimonio che non s’ha da fare

Calcio e Coronavirus, un matrimonio che non s’ha da fare

Tra le questioni legate all'emergenza sanitaria in Italia si polemizza anche del futuro del calcio. Tra futilità, quattrini e interessi individuali.

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Tra le questioni legate all’emergenza sanitaria in Italia si polemizza anche del futuro del calcio. Tra futilità, quattrini e interessi individuali.

L’emergenza sanitaria continua a mietere vittime. Il paese è bloccato. Scene di panico nei supermercati. Confindustria prevede un calo del Pil del 10% nel primo semestre del 2020. Gli amanti del fitness sono a un passo dalla crisi di nervi perché non possono praticare jogging al parco e falliranno tutti la prova costume. Negli ospedali si vivono inimmaginabili tragedie quotidianamente. E poi le mascherine che mancano, le perdite dei posti di lavoro, i criceti nei server dell’INPS che decidono di scioperare e mandano il sistema in tilt. A tutto questo per tanti italiani si aggiunge anche la preoccupazione di sapere quando ricomincerà il calcio.

Le polemiche

Un problema vero, in effetti. Anche se affermarlo seriamente fa indignare molti. Una questione che, uscendo dalle faccende del tifo, è molto più complessa di come appare. Che in primis tocca aspetti sociali profondamente radicati in una larghissima fetta della popolazione. Il che genera dibattiti, i quali, per quanto si possano ritenere inutili, sono specchio di una realtà.

Basta fare un giro sui social per scoprire le diverse fazioni. Ci sono, per l’appunto, gli indignati per la frivolezza dell’argomento. Che ritengono vergognoso il solo pensare al pallone quando muoiono centinaia di persone ogni giorno. Infatti prima che scoppiasse l’epidemia di Coronavirus non moriva nessuno per carestie, guerre, povertà, persecuzioni e malattie. Per questo ci si poteva dedicare tranquillamente allo svago.

Poi ci sono quelli che vorrebbero pagare con lo stipendio di Crisitiano Ronaldo i costi straordinari sostenuti dagli ospedali in questa situazione emergenziale. Come se 20 anni di tagli alla sanità pubblica li avessero decisi a tavolino i calciatori. C’è il club degli speranzosi. Che si augurano che tutto finisca, per poter rivedere la propria squadra di calcio il prima possibile. Perché di passare la domenica a casa con la moglie ne hanno già le scatole piene. Ci sono gli intellettuali. Quelli che si dichiarano schifati dal calcio a prescindere. E si augurano, con scarsa fiducia, che questo periodo possa favorire l’apertura di qualche libro. Perché per loro, chi non legge Freud non merita di vivere cent’anni e comunque non è concepibile che a qualcuno possa piacere sia lo sport, sia la letteratura.

L’economia del calcio

E quanti altri ce ne sarebbero ancora. Per tutti i gusti polemici. Perché il calcio, in un modo o nell’altro, genera attenzione. “Nel bene o nel male, purché se ne parli“, recita un vecchio mantra pubblicitario. Ecco appunto. La pubblicità. Esiste infatti un altro ordine di problemi, decisamente più legato alla realtà e non al chiacchiericcio. Magari moralmente meno elevato, ma forse più importante sotto altri aspetti. Quello dei soldi. Il calcio è tra le più importanti industrie del paese. Vive di una filiera, che parte dai 22 atleti sul prato e arriva fino ai piccoli commercianti e ai liberi professionisti, generando un indotto miliardario. E funziona anche grazie agli investimenti delle TV e degli sponsor.

La FIGC a settembre 2019 ha presentato un dossier alla Camera dei Deputati intitolato “Il conto economico del Calcio Italiano”. Ne è emerso un valore di oltre 4,25 miliardi di Euro. Di cui oltre il 70% dal mondo professionistico. Il resto dalle altre categorie. L’intero settore fornisce lavoro a circa 250 mila lavoratori, portando in totale oltre 22,5 miliardi di euro nelle loro tasche e circa 9 miliardi di tasse nelle casse dell’erario pubblico. In percentuale, complessivamente, si parla del 7% del prodotto interno lordo.

Le figuracce

Ora, però, non è il caso di prendersi in giro. È evidente che al tifoso medio, probabilmente, interessi maggiormente la sorte della propria squadra del cuore. E quando si esagera, soprattutto in momenti come questo, qualche critica è più che meritata. Ma c’è sempre modo e maniera per sostenere la propria posizione. Favorevole o contraria. Perché a voler fare i paladini a tutti i costi, spesso si ottengono solo figuracce. Come quelle che lo stesso mondo del calcio ha regalato nell’ultimo mese. Non contribuendo, per altro, nemmeno lontanamente a sedare gli animi della gente.

In 30 giorni si sono viste prima le tarantelle partite-a-porte-aperte-partite-a-porte-chiuse. Poi i match rinviati perché lo spettacolo non era degno. Però solo in Serie A. Perché invece in Serie B a porte chiuse si poteva giocare. Alla fine è arrivato lo stop, prima parziale e poi definitivo. “Giocare a porte chiuse non è un bello spot per il calcio italiano“, si diceva in federazione. Eppure, dopo una settimana il big match Juve – Inter è andato in onda comunque senza pubblico. Ma molte altre partite non sono state recuperate. E quindi la classifica non è ancora completa. Intanto si è cominciato a discutere su quando riprendere. A fine marzo. Ad aprile. Dopo Pasqua. A maggio. No, cancelliamo tutto.

In Lega si sono create due fazioni. Qualcuno spinge per ripartire il prima possibile e qualcun altro vorrebbe l’annullamento definitivo del campionato. Entrambe le posizioni hanno il dichiarato intento di salvaguardare la regolarità del gioco. E così chi vuole ricominciare presto è un cinico opportunista, che sfrutta le difficoltà altrui (delle squadre del nord) per avvantaggiarsi. Per contro, chi vuole fermarsi è, secondo l’opinione opposta, un furbacchione che vedrebbe salvata la propria permanenza in massima serie o garantita d’ufficio la qualificazione alle coppe europee l’anno prossimo.

Nessuno però che parli apertamente di quali siano i propri reali interessi individuali. Come se ammettere di perseguire un obiettivo personale fosse qualcosa di scabroso e inconcepibile in un settore che fa della competizione il motivo stesso della sua esistenza. Piuttosto che mostrare le vere facce dietro le maschere di bronzo, via al reciproco scambio di accuse per vedere chi sarà più degno di essere incoronato “salvatore del calcio italiano”.

Come finirà? Chi può dirlo. Guai a sbilanciarsi troppo. Si rischiano brutte figure. E poi con tutti i problemi che ci sono in Italia adesso, vi pare il momento di perdere tempo col calcio?

#FacceCaso

Di Tommaso Fefé

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