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Telegram: scopriamo il lato “oscuro” dell’app di messaggistica

Telegram: scopriamo il lato “oscuro” dell’app di messaggistica

A causa di alcune funzionalità un pò controverse, Telegram si trova al centro di una tempesta mediatica...e di un'indagine della polizia postale. Se

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A causa di alcune funzionalità un pò controverse, Telegram si trova al centro di una tempesta mediatica…e di un’indagine della polizia postale.

Se vi capita di leggere il nome Pavel Durov e non riconoscerlo non preoccupatevi, non sarete gli unici. Meno famoso della sua controparte americana,  ossia il nostro caro Zuckenberg, Durov è un imprenditore russo nonché fondatore di Telegram, un’app di messaggistica istantanea, che tanto ha fatto parlare di sé negli ultimi tempi. Scopriamo insieme di cosa si tratta e soprattutto come si usa.

L’app che non lascia tracce

Per chi fosse rimasto indietro, parliamo di un servizio di messaggistica, che fornisce ai suoi iscritti la possibilità di poter scambiare messaggi, foto e video in chat di due o più persone (pensate fino a duecentomila!). Fino a qui tutto bene. Insomma, non sembrerebbe esserci nulla di diverso rispetto a WhatsApp.

Eppure, ci sono tutta una serie di funzionalità che distinguono l’app dalle altre. Prima di tutto è possibile registrarsi senza lasciare traccia né di un’email, né di un numero di telefono, insomma del tutto non rintracciabili. In secondo luogo, ci sono le così dette chat segrete, nelle quali è possibile impostare un timer ai messaggi, superato il quale il testo si cancella. Infine, grazie ad un aggiornamento del 2017, è possibile inviare foto e clip dalla durata limitata. Per capirci, dei media che si autodistruggono! Pensate che il livello di sicurezza dell’app è così alto che veniva utilizzata dagli studenti di Hong Kong per organizzare le proteste.

… Non solo per parlare con gli amici

Ed è proprio per questi motivi che Telegram si trova al centro di una serie di inchieste legate alla privacy e all’anonimato sui sociali. Nello specifico, le chat criptate di Telegram, che hanno una capienza di centinaia di migliaia di utenti, sono diventate luoghi di scambio di foto e video privati, che dovevano rimanere tali; di dati personali, venduti o semplicemente forniti senza consenso del diretto interessato. Insomma, di una serie di attività illegali che hanno portato la polizia postale ad aprire un’indagine.

Ovviamente, la vicenda è direttamente collegata al dibattito sulla privacy online, che da una parte riguarda la protezione dei nostri dati personali e dall’altra il diritto all’anonimato sul web. Io sono dell’opinione che c’è ancora molta strada per avere online lo stesso livello di tutela che abbiamo offline. E voi cosa ne pensate?

#FacceCaso

Di Alice Favazza

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