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Autolesionismo in crescita. Regà, ma che fate?!

Autolesionismo in crescita. Regà, ma che fate?!

Cresce l' autolesionismo tra i giovany. In Italia un ragazzo su sette ha subito è autoinflitto, almeno una volta nella vita, tagli, bruciature ed altr

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Cresce l’ autolesionismo tra i giovany. In Italia un ragazzo su sette ha subito è autoinflitto, almeno una volta nella vita, tagli, bruciature ed altre lesioni dolorose. Nuove ricerche dall’Australia ci spiegano cause e rimedi.

Gli esperti dell’università del Queensland, in Australiahanno raccolto la maggior parte degli studi passati riunendoli in un’unica grande ricerca basata sui moderni studi psicologici e psichiatrici del comportamento giovanile, specialmente nell’ambito dell’ autolesionismo.

In Italia un ragazzo su sette avrebbe fatto ricorso a questa terribile pratica autolesionista che prevede il dolore come obbiettivo.

Quali sono le origini di questi gesti?

Attualmente la psichiatria ha fatto enormi passi avanti nello studio comportamentale e ha dimostrato come tali pratiche non siano di per sé una malattia bensì un sintomo di un malessere protratto nel tempo e apparentemente invincibile per chi lo vive. Da qui nasce l’esigenza di distrarsi ed alienarsi dalla propria condizione di sofferenza attraverso la trasformazione del dolore emotivo in dolore fisico. L’età delicata per gli individui predisposti ricopre all’incirca i 5 anni di liceo, e uno su 5 sviluppa una forte dipendenza all’autolesionismo.

Perchè questi gesti?

Ferirsi o colpirsi diviene quindi per questi ragazzi e ragazze il

simbolo da una fuga da sé stessi che si rivela impossibile, ma la scienza medica sta compiendo progressi non solo nella comprensione di questo disagio, ma anche nella creazione di terapie sempre più efficaci.

Gli individui predisposti all’autolesionismo hanno una personalità cosiddetta borderline, caratterizzata dalla presenza di forti insicurezze, paura dell’abbandono, difficoltà relazionali e propensione a manie, depressione o abuso di sostanze. Le terapie migliori saranno quindi quelle “parlate”, terapie che nel corso del tempo, anche breve, aiutano i soggetti a sviluppare meccanismi di autodifesa.

La questione più importante è quindi il dialogo. Riuscire ad esternare tali condizioni è sempre il primo passo per evitare che tali atteggiamenti possano sfociare in tendenze suicide o in situazioni che potrebbero portare all’isolamento di chi sta soffrendo.

#FacceCaso

Di Alessandro Mameli

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