Negli ultimi 2 anni netta distinzione tra chi torna e chi parte: scopriamo i dati e le motivazioni. Fuga di cervelli. La mancanza di certezze lavorat
Negli ultimi 2 anni netta distinzione tra chi torna e chi parte: scopriamo i dati e le motivazioni.
Fuga di cervelli. La mancanza di certezze lavorative dei nostri giovani laureati, li spinge a fare le valige per cercare fortuna altrove. I dati del rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile dell’Istat, affermano che, dal 2016, 16.000 laureati tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato il “Belpaese”, a fronte di soli 5.000 rimpatri.
Ma perché accade questo? L’Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in un rapporto sulle giuste competenze analizza gli squilibri del mercato del lavoro in Italia, affermando che “i titoli di studio e le qualifiche danno un’indicazione molto debole delle reali competenze e abilità degli studenti”.
Spesso, la preparazione scolastica non incide sul successo in ambito lavorativo degli studenti Made in Italy e rende il processo di selezione, da parte delle imprese, “particolarmente difficile”, specie nei casi di giovani laureati e con poca esperienza.
Per assottigliare il gap tra scuola e lavoro, l’Ocse sostiene anche che il progetto della Buona Scuola sia potenzialmente per i giovani un’attività propedeutica alla nascita e all’ evoluzione delle loro capacità lavorative.
Inoltre, si ritiene giusto rafforzare la formazione tecnica in modo da ridurre la bipartizione con i licei. A dimostrazione di ciò i ‘laureati specializzati’ trovano più facilmente lavori prestigiosi e ben retribuiti mentre i laureati senza una formazione e professionalità definita, rimangono “intrappolati in un mercato del lavoro che li colloca in posti di scarsa qualità”.
Proprio per questo, il 35% dei lavoratori italiani svolge una professione non coerente con il loro percorso di studi.
Intanto, pare che le uniche persone che riescano a non naufragare nel mare della crisi siano quelle anziane, visto che la disuguaglianza economica tra di loro non supera neanche il 3,8%, confermandosi così il gruppo meno fragile.
E’ ora che il nostro stato reagisca per cambiare rotta e per dimostrare che l’Italia (senza alcuna offesa) non è un paese per vecchi.
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