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La Serie A del calcio femminile (purtroppo) non esiste

La Serie A del calcio femminile (purtroppo) non esiste

Ieri la FIGC ha certificato lo stop definitivo alla stagione 2019-2020 del calcio femminile. Un'occasione persa per tutto il movimento. Per il calcio

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Ieri la FIGC ha certificato lo stop definitivo alla stagione 2019-2020 del calcio femminile. Un’occasione persa per tutto il movimento.

Per il calcio femminile la Serie A non esiste. E a confermarlo, di fatto, è stata ieri la stessa FIGC chiudendo in tronco la stagione sportiva 2019-2020. Decisione arrivata al termine della riunione andata in scena nella sede della federazione, dove si è discusso contestualmente (e principalmente) della ripresa e conclusione della vera Serie A.

Sì, tecnicamente esiste un torneo che si chiama “Serie A femminile“. Ma concettualmente non rappresenta il significato che a un tale nome dovrebbe essere associato. Il massimo livello sportivo a cui un’atleta può ambire. Possiamo raccontarci tutte le favole che vogliamo, ma ciò che è stato deciso dalla Federcalcio ha di fatto derubricato quella teorica eccellenza calcistica a mero dettaglio. E come tale trascurabile in situazioni di emergenza. Le donne nel mondo del pallone sono state trattate come accessorio secondario, rispetto al problema principale che era la ripartenza e i possibili piani b e c del principale torneo maschile.

Da marzo a oggi sono stati mesi di polemiche e litigi sul se e come la Serie A dovesse ripartire. Gli stipendi dei calciatori, gli allenamenti individuali e quelli di squadra, i play-off e i play-out, gli algoritmi e le medie ponderate. Le donne invece è stato sufficiente liquidarle con poche parole.

Abbiamo deciso, e questo mi dispiace, di sospendere il campionato di calcio femminile. Per quanto mi riguarda è una nota negativa. Sarebbe stato uno spot bellissimo per tutto il movimento dare pari dignità alle ragazze per quanto riguarda la conclusione almeno del campionato più importante.

Così qualche giorno fa Gabriele Gravina, il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, si rammaricava della decisione. Serviva lo spot bellissimo per dare pari dignità. Perché ovviamente un’istituzione la dignità la concede dall’alto, non la tutela a prescindere. Certo.

Mancavano 6 giornate. La metà di quelle che dovranno disputare gli uomini. 6 miseri turni a porte chiuse per dare a chi se lo fosse meritato sul campo il giusto riconoscimento. Almeno sportivo. Perché di quello mediatico ed economico, nemmeno a parlarne. Ma d’altronde, se persino l’AIC, il sindacato dei calciatori, considera il calcio femminile una sotto categoria tra i dilettanti (guardare sul sito ufficiale per confutare di persona), di che cosa ci si può mai meravigliare?

Occasione persa, sì. Ma non per le giocatrici. Semmai per il sistema, che poteva dare continuità alla crescita di tutto il movimento, in ascesa soprattutto sulla scia dei mondiali dell’anno scorso. Invece si è dimostrato ancora una volta che per le donne la Serie A è solo immaginazione. E le belle parole spese restano lettere al vento.

Le responsabilità

Le responsabilità della scelta sono da ricercare in maniera diffusa. L’attenzione mediatica, in primis, non è stata la stessa che per gli uomini. E questo può aver comportato meno pressioni. Ad onor del vero però, un protocollo ad hoc per la tutela delle atlete, la fornitura di test e tamponi e una serie di accorgimenti tecnici e sanitari erano stati studiati e proposti dalla Federazione.

La stessa presidente della Divisione Calcio Femminile, Ludovica Mantovani, ha dichiarato:

Abbiamo illustrato tutte le iniziative che la Federazione ha proposto al fine di favorire la ripresa del campionato. Il messaggio della Federazione ha seguito le direttive internazionali. Ha cercato in tutti i modi di privilegiare il merito sportivo. Compresa l’ultima soluzione dei play-off e play-out, anche prevedendo di ospitare le squadre coinvolte in una sede unica. La Federazione si sarebbe fatta quindi anche carico del rispetto del protocollo gare, sia da un punto di vista organizzativo, sia sanitario. Avrebbe inoltre cercato di evitare tutte le criticità legate alle trasferte e avrebbe garantito un più ampio periodo per lo svolgimento degli allenamenti collettivi.

E allora perché non si è ripreso? È la stessa presidente a rispondere, lanciando la palla alle società e alle singole calciatrici.

Purtroppo, nonostante tutto, le posizioni assunte dalle società sono rimaste fortemente frammentarie e dal lato delle calciatrici non emerge oggi un fronte deciso e compatto nel voler giocare.

Ecco cosa mancava a completare l’opera. Un bel teatrino per il rimpallo delle colpe. Se non altro, almeno in questo i comportamenti sono identici a quelli visti per gli uomini.

#FacceCaso

Di Tommaso Fefè

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