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Quando gli insulti arrivano dal grande cielo dello “shitstorm” e scendono in picchiata

Quando gli insulti arrivano dal grande cielo dello “shitstorm” e scendono in picchiata

Un fenomeno virtuale che ruota attorno a troppi fattori sociali: è lo “shitstorm”. Vediamo come si propaga e come curare le ferite delle relazioni in

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Un fenomeno virtuale che ruota attorno a troppi fattori sociali: è lo “shitstorm”. Vediamo come si propaga e come curare le ferite delle relazioni in rete.

Avete presente quando uscite con il bel tempo ma, quando siete ormai a metà strada, si presenta un temporale e vi ricordate di aver lasciato l’ombrello nel sedile posteriore dell’auto che avete prestato a vostro fratello? Beh, la sensazione dello “shitstorm” può essere metaforicamente tradotta così, ma al posto della pioggia precipitano parole che strabordano di odio e di volgarità gratuita (e tu rimani sempre senza ombrello).

Con il termine “shitstorm” si intende letteralmente una “tempesta di escrementi” (si può dire cacca?) che si verifica nel tanto ambito quanto incompreso mondo della rete. Nello specifico il fenomeno avviene all’interno delle pubbliche relazioni virtuali che, lacerate dal disprezzo tagliente, mettono a dura prova la persona – o l’azienda – presa di mira.

Ed ecco come un piccolo soffio di vento, si trasforma in tempesta.

Sì, perché è sufficiente un singolo commento aggressivo per mettere in moto la feroce macchina dell’insulto online: una specie di reazione a catena derivante dal concetto di odio che genera odio, ricondotto alla disinibizione della comunicazione. Solo perché virtuale.

Stiamo viaggiando all’interno di una crisi verbale che però bisogna necessariamente distinguere dalla libertà di giudizio. E nonostante siano molti gli esempi di “shitstorm” verificatosi in passato a carico di diverse aziende – tra cui Barilla, Dolce&Gabbana e la UEFA – e faticosamente risolte, è appurato che ancora oggi si faccia troppa fatica a rimarginare le ferite dell’hate speech, soprattutto tra singoli.

Gli esperti di pubbliche relazioni classificano il fenomeno in tre fasi: all’interno di quella intermedia, definita fase acuta, bisogna proiettarsi in una comunicazione aperta a fine risolutivo, evitando censure di ogni genere in nome di una discussione costruttiva.

Non ci distinguiamo dagli animali per questo, forse?

#FacceCaso

Di Eleonora Santini

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