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FacceSapè: ecco la nostra intervista per il nuovo album di Veronica Sbergia

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Nuovo appuntamento con le nostre interviste musicali: oggi è Veronica Sbergia a passare sotto le grinfie della nostra redazione per il nuovo album.

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Esce venerdì 19 maggio 2023 per Bloos Records “Bawdy Black Pearls”, il nuovo album di Veronica Sbergia.

Dodici donne afroamericane degli inizi del ‘900, dodici artiste blues e jazz, dodici canzoni licenziose con un unico minimo comune denominatore: la libertà di essere se stesse e cantare della propria condizione senza peli sulla lingua. Bawdy Black Pearls è un disco nato dalla consapevolezza che queste blueswoman, alcune delle quali semi-sconosciute, hanno contribuito in modo determinante, attraverso le loro canzoni, alla nascita di una coscienza femminista nelle donne afroamericane della workingclass degli inizi del XX° secolo.

Veronica Sbergia studia e si concentra da oltre vent’anni sul pre-war blues e le sue diramazioni ed ha fortemente voluto questo album, con l’intento di dare un doveroso riconoscimento a queste artiste: donne coraggiose e controcorrente, libere di autodeterminarsi, progressive e spregiudicate. Le perle nere a cui fa riferimento il titolo, sono nello stesso tempo le canzoni e le sue interpreti e sono “bawdy” nel senso di licenziose, libere e allegramente sconce.

Abbiamo scambiato qualche parola con la cantante per saperne qualcosa di più sul suo progetto musicale, senza farci mancare un piccolo excursus sul suo percorso scolastico:

Questo è un sito dedicato agli studenti, quindi non possiamo che iniziare col chiederti qualcosa sul tuo percorso scolastico.
È stato un percorso travagliato! 🙂 Ho intrapreso l’Università di Scienze Naturali perché da grande volevo fare l’insegnante di Scienze… ho mollato gli studi perché la vita da studente pendolare era molto pesante e perché mi sono schiarita le idee su quello che avrei davvero voluto fare nella vita….

E che tipo di rapporto hai invece con lo studio della musica? Si può fare musica senza studiarla?
Ho iniziato a studiare musica da bambina, avevo 9 anni e ho continuato lo studio fino ai 20 anni. Anche in questo ambito non nego di avere avuto dei momenti di scarsa ispirazione, lo studio molto spesso mi annoiava e toglieva spontaneità a quello che per me doveva essere governato da emozione pura. Si può certamente fare musica senza studiarla ma se ne perde una parte importante: la consapevolezza di ciò che si fa. Se tornassi indietro mi impegnerei maggiormente nello studio musicale e mi iscriverei al conservatorio.

Le donne di “Bawdy Black Pearls” sono estremamente moderne nonostante si collochino agli inizi del ‘900. Che cosa possiamo imparare da loro?
La forza della loro sisterhood e l’innegabile coraggio di affrontare anche le sfide più difficili. Combattere i cliché è un suggerimento che dobbiamo fare nostro ancora oggi.

Parlando invece del blues come genere musicale, come continua a vivere nei giorni nostri? Quali sono le realtà più interessanti?
Il Blues resiste con fatica e diciamo che non se la passa benissimo. Ci sono indubbiamente artisti di grande valore nel panorama Blues italiano che sono costretti a fuggire all’estero per avere un po’ di considerazione e per poter vivere di musica, penso al bravissimo Steph Rosen ma c’è anche chi resta e ci prova a cambiare le cose. Penso a Stefano Barigazzi, alle splendide Elli De Mon e Gloria Turrini, e ancora a Francesco Piu, Marco Pandolfi… la lista è lunga e l’Italia può davvero vantare musicisti di altissimo livello che tutta Europa ci invidia. Quello che invece latita sono gli spazi dove proporre questa musica, i media che la facciano ascoltare e qualche supporto economico da parte del Governo che aiuti gli organizzatori ad investire sui talenti italiani senza il terrore di “andare in perdita”… il problema è molto complesso, diciamo.

Se potessi lasciare un messaggio alla te stessa di quando eri bambina, cosa le diresti?
Che nonostante le difficoltà e i momenti cupi, ha fatto un buon lavoro. E l’abbraccerei forte.

#FacceCaso

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