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I giovani sono troppo istruiti

I giovani sono troppo istruiti

Giovani, istruiti e sottoccupati. I dati del rapporto sul mercato del lavoro raccontano il paradosso della sovra-istruzione connessa alla fuga dei cer

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Giovani, istruiti e sottoccupati. I dati del rapporto sul mercato del lavoro raccontano il paradosso della sovra-istruzione connessa alla fuga dei cervelli.

Italiani popolo di camerieri, commessi e braccianti agricoli. Almeno per i giovani è così. È quanto emerge dal rapporto sul mercato del lavoro 2018, realizzato dal Ministero del Lavoro in collaborazione con Istat, Inps, Inail e Anpal. Al netto di un tasso di disoccupazione ancora elevato,  in dieci anni si è quasi triplicata la quota di occupazione meno qualificata.

I dati

Le prime mansioni dei giovani all’esordio nel mondo del lavoro sono proprio le tre elencate (rispettivamente al 12% i camerieri, 8.5% i commessi e 7,5 i braccianti). La metà dei quali con contratti a tempo determinato. Il resto sono apprendistati, lavori intermittenti e collaborazioni occasionali. Solo il 9% ha da subito un contratto a tempo indeterminato.

Ad iniziare dal basso, comunque, non c’è nulla di male. Quello che fa storcere la bocca leggendo il rapporto è il dato sulla sovra-istruzione dei giovani lavoratori. Quasi 5,7 milioni hanno un titolo di studio o una qualifica professionale di livello superiore a quanto richiesto dalle proprie mansioni. Risulta troppo istruito un laureato ogni tre. Un fenomeno “in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute”.

Anche per questo motivo continua inesorabilmente la cosiddetta fuga dei cervelli. Le competenze acquisite crescono negli anni, mentre la qualità del lavoro rimane al palo. E quando non ne possono più, i giovani scappano all’estero. Un dottore di ricerca ogni cinque, a quattro anni dal conseguimento del titolo, vive e lavora fuori dall’Italia, visto che altrove quasi il 13% è assorbito dagli investimenti in ricerca. Qui da noi, solo il 4%. In pratica, tra disoccupati, emigrati e sottoccupati il bel paese getta via letteralmente la sua risorsa più preziosa (i cervelli) come se non sapesse cosa farsene.

Il paradosso

Un dato decisamente paradossale considerando che, dal medesimo rapporto ministeriale, si evidenzia come l’Italia per raggiungere i livelli occupazionali dell’Europa Occidentale dovrebbe avere circa 4 milioni di occupati in più. E questa differenza occupazionale riguarda soprattutto i lavoratori qualificati. Sostiene Linkiesta che, in questo senso, anche i vari incentivi alle imprese creati dai governi, soprattutto negli ultimi anni, per l’assunzione dei neolaureati non aiutano affatto a migliorare le cose. Se il principio può sembrare buono, la realtà effettiva racconta altro. Di fatto si tratta di droghe al mercato del lavoro con scarsi effetti a lungo termine. Si permette di aumentare l’occupazione, ma solo fintanto che l’incentivo resta valido. In più, nella maggior parte dei casi, si tratta ancora di bassa manovalanza.

#FacceCaso

Di Tommaso Fefè

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